Dopo la tragedia del Ponte Morandi, la famiglia Benetton non ha pagato per le proprie responsabilità, la fuoriuscita dal gruppo – peraltro dietro corresponsione di una ricca quanto scandalosa buonuscita – è stato l’unico provvedimento, con il contestuale ingresso della Cassa depositi e prestiti nel gruppo Autostrade per l’Italia (Aspi), acquisendone il 33%. Tuttavia, Paolo Cirino Pomicino, ex pluriministro ai tempi della cosiddetta Prima repubblica, fiuta la beffa, e la denuncia in una lettera pubblicata da La Verità e indirizzata al direttore, Maurizio Belpietro: nel riassetto di Aspi, tramite “un complicato gioco di scatole cinesi”, potremmo ritrovarci i Benetton. Usciti dalla porta, potrebbero rientrare dalla finestra, come si dice. Vediamo, ora, come tutto ciò sia possibile. Come nel progetto di riassetto che lo stesso Cirino Pomicino ha avuto modo di visionare, la sede italiana di JP Morgan, tra le più grandi banche d’affari del mondo, dovrebbe conferire delle quote al gruppo Gavio-Astm, a sua volta partecipato al 49% dal fondo Ardian, per allontanare da Aspi il fondo speculativo australiano Macquarie. L’altro fondo che ha pesantemente investito in Aspi, il colosso Blackstone, ha acquistato di recente il 37% di Mundys. (Continua a leggere dopo la foto)
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Le scatole cinesi
Quest’ultimo è un nome poco noto, ma vi basti sapere che altro non è che il nuovo nome della vecchia Atlantia dei Benetton. Le partecipazioni della famiglia trevigiana, dunque, fanno capo a Blackstone, per ora, ma il rischio paventato dall’ex notabile democristiano è che Mundys nel tempo guadagni posizioni, essendo un operatore nelle concessioni autostradali in diversi Paesi in tutto il mondo, e che un Benetton torni a sedere nel Consiglio di amministrazione di Autostrade per l’Italia, specie se viene “fatto fuori” il fondo Macquarie. Eccole, le scatole cinesi di cui scrive Cirino Pomicino. Una ipotesi affatto peregrina, suggerita da due circostanze, riassunte nella lettera: anzitutto, Mundys risulta partecipata anche dalla Cassa di risparmio di Torino al 5,4%, e proprio il conferimento del gruppo Gavio scaricherebbe sulla stessa Aspi (e, in definitiva, sul contribuente attraverso la Cassa depositi e prestiti) l’onere dei debiti. Ciò consentirebbe alla stessa Ardian di uscire, così lasciando in Aspi come unico fondo Blackstone, che come detto detiene il 37% della vecchia Atlantia; il secondo campanello d’allarme è dettato dall’attivismo di Pietro Salini, che guida Webuild (ex Salini-Impregilo), già partecipato da Cassa depositi e prestiti e che ora “vuole essere della partita”. (Continua a leggere dopo la foto)
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Quando l’Italia era una potenza industriale
Il resto della lettera è un commosso ricordo di quando negli anni Ottanta, ai tempi della Dc e del vecchio Pentapartito, l’Italia era la quarta o quinta potenza mondiale grazie alle sue industrie e al Made in Italy. Non possiamo dimenticare che l’Iri era il settimo conglomerato mondiale. Poi, l’avvento delle privatizzazioni selvagge che hanno svenduto il Paese ai potentati dell’alta finanza internazionale, riducendo, per usare le parole di Paolo Cirino Pomicino, il nostro Paese a “colonia della grandi democrazie industrializzate europee”.
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