x

x

Vai al contenuto

“Hanno ucciso più del virus”, lo studio USA cambia tutto: “Quanti decessi si potevano evitare?”

Pubblicato il 23/05/2023 19:32

Lo sosteniamo da tempo, e non solo noi, ricevendo la “etichetta” di No Vax, complottisti, negazionisti. Solo che adesso un gruppo di scienziati della Feinberg School of Medicine della Northwestern University di Chicago ci dà ampiamente ragione, e su base scientifica giunge pressoché alle medesime convinzioni – peraltro facilmente intuibili: con una brutale sintesi, possiamo dire che ne hanno uccisi più i folli protocolli sanitari che non il Covid. La polmonite batterica secondaria sarebbe stata la prima causa di morte nei pazienti con Covid 19. La polmonite batterica, a sua volta, era scatenata dalla ventilazione a livello polmonare, che, soprattutto se forzata, è capace di danneggiare i polmoni. Le cure hanno ucciso più del virus. Machine learning links unresolving pneumonia, including Covid 19 è il titolo della ricerca, pubblicata sul Journal of Clinical Investigation, rivista medica peer-review attiva dal 1924, e prima della pubblicazione è stata oggetto di una revisione “paritaria”, effettuata da parte di esperti del settore di cui tratta la pubblicazione stessa, che ne hanno dunque confermato e ribadito l’attendibilità. Sicché “i nostri dati suggeriscono che la mortalità correlata al virus stesso è relativamente bassa, ma altre cose che accadono durante la degenza in terapia intensiva, come la polmonite batterica secondaria, compensano questo stato”, ha dichiarato Benjamin Singer, professore di Medicina Polmonare presso il Dipartimento di Medicina, nonché medico polmonare e di terapia intensiva della Northwestern Medicine, le cui affermazioni leggiamo leggiamo su Il Giornale d’Italia. (Continua a leggere dopo la foto)
>>> “Questi sono i veri dati”. Frajese smonta così le accuse di ‘negazionismo’ di Bassetti: una risposta perfetta

studio usa protocolli contro covid

Lo studio

Uno dei punti di partenza della ricerca era dato dalla osservazione dei diversi casi di polmonite batterica: lo studio ha confutato la teoria della cosiddetta tempesta di citochine, che si pensava fosse responsabile della morte dei pazienti con Covid. La tempesta di citochine è una reazione infiammatoria che causa la compromissione di organi quali i polmoni, i reni e il cervello. Tuttavia, secondo Singer, “se la tempesta di citochine fosse il motivo principale della lunga permanenza in terapia intensiva dei pazienti, ci saremmo aspettati di vedere frequenti transizioni verso stati caratterizzati da una multipla disfunzione degli organi. Ma non è quello che abbiamo visto”. La comunità scientifica avrebbe sottovalutato la superinfezione batterica del polmone, “come contributo determinante alla morte nei pazienti con Covid 19“. Lo studio ha analizzato 585 pazienti nell’unità di terapia intensiva del Northwestern Memorial Hospital con polmonite grave e insufficienza respiratoria. Tra questi in 190 avevano contratto il Covid 19. Sulla base di dati clinici e microbiologici è emerso, dunque, che il dato del trattamento della ventilazione era sovrapponibile a quello di una maggiore mortalità in questi soggetti. “Data la durata relativamente lunga della degenza in terapia intensiva tra i pazienti con Covid 19 – è scritto nero su bianco nella ricerca – abbiamo sviluppato un approccio di apprendimento automatico chiamato CarpeDiem, che raggruppa giorni di pazienti in terapia intensiva simili in stati clinici sulla base dei dati delle cartelle cliniche elettroniche”. Ne consegue che la stessa durata relativamente lunga della degenza tra i pazienti affetti da Covid 19 è principalmente dovuta a una prolungata insufficienza respiratoria, che li espone a un rischio più elevato di ventilazione meccanica. Tutto questo si sarebbe potuto evitare. (Continua a leggere dopo la foto)
>>> “È criminale!” Bassetti-Viola, “l’epico scontro” viaggia sui social: “Si sciacqui la bocca” (i POST)

studio usa protocolli contro covid

Le considerazioni

L’assenza di autopsie fatte precocemente avrebbe, molto probabilmente, aiutato a risolvere la gestione della polmonite. La famigerata strategia medica della “tachipirina e vigile attesa” è stata assolutamente fallimentare e, attenzione, anche in questo caso non siamo noi a dirlo. Lo stesso Giorgio Palù, virologo e presidente dell’Agenzia italiana del Farmaco (Aifa), lo ha praticamente, tardivamente, ammesso a Porta a porta. Così come ha tardivamente ammesso che l’uso della idrossiclorochina (quella cura per cui il dottor Andrea Stramezzi è stato sospeso) non era da sconsigliare, come Aifa ha fatto. Eppure appena ieri, intervistato proprio da Il Giornale d’Italia, Sergio Harari, direttore di Pneumologia all’ospedale San Giuseppe di Milano, a margine del Primo Festival del Progresso Sociale a Milano è arrivato a definire “imbecillità” la teoria della ventilazione forzata come causa dei sempre più numerosi casi di polmonite. La colpa, ha detto, è “dell’inquinamento atmosferico“, che è sempre una buona scusa. Non sappiamo gli “imbecilli” dell’Università di Chicago come la prenderanno. (Continua a leggere dopo la foto)
>>> “Ignorati!” Mario Giordano e la pesantissima denuncia sull’alluvione in Emilia Romagna (VIDEO)

studio usa protocolli contro covid

Le polmoniti associate a ventilazione meccanica

le polmoniti associate a ventilazione meccanica (VAP, Ventilator Associated Pneumoniae) sono un’entità nosologica appartenente alla categoria delle polmoniti nosocomiali (HCAP, Healthcare Associated Pneumoniae) la cui incidenza è pari a circa il 25% delle infezioni nosocomiali nei reparti di terapia intensiva. Secondo le linee guida della American Thoracic Society le VAP si verificano nel 9-27% dei pazienti intubati, incidenza che aumenta con il prolungarsi del tempo di ventilazione meccanica; tuttavia, circa la metà delle VAP si manifesta nei primi 4 giorni di ventilazione (early-onset VAP).

Potrebbe interessarti anche: “Cosa non deve fare!” Bassetti (e non solo) contro la commissione d’inchiesta Covid