Non c’è pace per la famiglia di Emanuela Orlandi, sospesa da quarant’anni in un limbo senza sapere neppure, quantomeno, se la “ragazza con la fascetta” sia ancora in vita o meno. Dopo l’ultimo colpo di scena, che vedrebbe i suoi resti sepolti sotto Castel Sant’Angelo, Fabrizio Peronaci inquadra delle piste interessantissime, sulla cronaca di Roma del Corriere della sera, che in maniera del tutto incomprensibile (o comprensibilissima) non sono mai state indagate a fondo: le storie degli amici e compagni di classe di Emanuela. Questi, già nell’immediatezza della scomparsa, avevano suggerito importanti indizi, ma i ragazzi stessi sono finiti inghiottiti in una storia più grande di loro. Che fine hanno fatto le amichette e i compagni che a vario titolo furono testimoni, inconsapevoli e involontari, dell’accaduto? Sono storie inquietanti, quelle raccontate da Peronaci, presumibilmente collegate a Emanuela: una prima amica fu pedinata a lungo, si ammalò e non si è mai ripresa; un’altra amica è stata sottoposta a trattamenti farmacologici piuttosto invasivi; un compagno di scuola è stato costretto a espatriare. (Continua a leggere dopo la foto)
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Raffaella
Il cronista del Corriere – egli stesso da lunghi anni impegnato sulla vicenda Orlandi, alla quale ha dedicato più di un libro – comincia col raccontare la storia di Raffaella Monzi, colei che fu l’ultima persona a vedere Emanuela Orlandi prima che sparisse. Compagna alla scuola di musica al complesso di Sant’Apollinare, all’epoca 19enne, raccontò subito alla stampa quanto le aveva detto Emanuela Orlandi prima di sparire, ovvero una inverosimile proposta di lavoro per la Avon, inverosimile per la cifra proposta (375 mila lire dell’epoca per un giorno di volantinaggio) al punto che Peronaci afferma di aver decriptato il messaggio in codice: letto Avon al contrario, vien fuori “Nova”, come la Pontificia fondazione Nova, che in quegli anni era la cassaforte vaticana coinvolta nella gestione dell’obolo della Chiesa. (Continua a leggere dopo la foto)
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Il primo ricovero
Come che sia, da quel momento Raffella fu pedinata, minacciata, intimidita da personaggi mai identificati. “Rimase talmente sotto choc da farsene una malattia per tutta la vita”, leggiamo ancora sul Corriere della sera. Oggi ha 59 anni, ed è ricoverata in una clinica psichiatrica fuori Roma. Ha dichiarato nei giorni scorsi la madre: “Da quel giorno del 1983 la vita di Raffaella non è stata più la stessa. Eravamo tanto esasperati e spaventati che decidemmo di andare via da Roma e di trasferirci a Bolzano, ma c’erano persone che hanno continuato a controllarci. Raffaella fu seguita da un giovane biondino. Ogni volta ce lo trovavamo davanti e un giorno le disse: Vieni via con me, lascia i tuoi genitori…”. (Continua a leggere dopo la foto)
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Silvia
Vi è poi il caso, tremendamente simile, di Silvia Vetere. Le sue dichiarazioni messe a verbale sia il 22 luglio1983, sia l’11 novembre del 2008, nell’ambito della seconda inchiesta, riferivano un “Non mi vedrete per un po’” anticipato proprio da Emanuela Orlandi, come se fosse già caduta in una trappola tesa dai sequestratori, per la buona fede e l’ingenuità dei suoi 15 anni. Ribadì tali dichiarazioni in una intervista a l’Unità. Anche Silvia Vetere ha subito un destino simile, come dicevamo, a quello di Raffella. Ecco cosa dice il cugino, Massimo Festa: “Silvia è stata vittima di un ulteriore sequestro, è stata portata in strutture psichiatriche per impedirle di ripetere quel che sapeva su Emanuela Orlandi. Quel che le era stato confidato era scomodo. Per questo è stata prelevata a più riprese, bombardata di farmaci, narcotizzata, annichilita nel corpo e nella psiche, in una struttura per tossicodipendenti, nella fascia a nord di Roma, e in centri specializzati per pazienti psichiatrici”. (Continua a leggere dopo la foto)
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Pierluigi
Un altro compagno di classe era Pierluigi Magnesio, anch’egli cittadino vaticano. L’omonimia con il primo telefonista del rapimento, che si presentava appunto con quel nome, fece addirittura pensare in un primo momento che fosse stato lui, sotto pressione o dietro minaccia, il telefonista. Il 27 ottobre 1987, alla trasmissione Telefono giallo condotta da Corrado Augias, dedicata al caso Orlandi, arrivò una telefonata: “Buona sera, sono Pierluigi. Se parlo, mi ammazzano“. Secondo i successivi approfondimenti della Procura di Roma, si trattava proprio di Pierluigi Magnesio. Perché il ragazzo finì in pericolo? Da chi fu minacciato o intimidito? E infine: perché il suo trasferimento all’estero, in un Paese non rivelato?
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