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Perquisizioni per D’Alema e Profumo. Operazione in corso. Di cosa sono accusati e perché

Pubblicato il 06/06/2023 16:36 - Aggiornato il 06/06/2023 16:44

Abbandonata la politica attiva, Massimo D’Alema non si può dire che sia rimasto con le mani in mano. Si è dato da fare, forse pure troppo. È di queste ore la notizia che lo vuole indagato per la vendita di navi e aerei militari alla Colombia, assieme ad Alessandro Profumo, importante banchiere che ha presieduto anche il Monte dei paschi di Siena, considerata la banca del Pd, e oggi Amministratore delegato di Leonardo. Curioso destino, per colui che fu il primo presidente del Consiglio con un passato nel Partito comunista italiano, ritrovarsi indagato con un banchiere per delle illegittime compravendite, macchiate da episodi di corruzione internazionale. Sicché sono scattate, nella mattinata di oggi, le perquisizioni della Digos nelle abitazioni e negli uffici di Massimo D’Alema e Alessandro Profumo, finiti nel mirino della procura di Napoli per la presunta compravendita di armi dalla Colombia. L’ex premier, l’ex amministratore delegato del gruppo Leonardo, con Giuseppe Giordo, ex direttore generale di Fincantieri e Gherardo Gardo, nella veste di contabile dell’ex premier risulterebbero indagati. Complessivamente, gli indagati sarebbero otto. Gli indagati, complessivamente, sarebbero otto. La sezione reati economici della Procura di Napoli – che ha delegato alla Digos di Napoli le perquisizioni – contesta ad Alessandro Profumo, Massimo D’Alema, Giuseppe Giordo, Gherardo Guardo, Umberto Claudio Bonavita, Francesco Amato, Emanuele Caruso e Giancarlo Mazzotta, il reato di corruzione internazionale aggravata. (Continua a leggere dopo la foto)
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Le (pesantissime) accuse

Non sfuggirà l’aggettivo “aggravata”, giustificato dal fatto che il reato sarebbe stato commesso addirittura con l’ausilio di un gruppo criminale organizzato, attivo in diversi Stati, tra cui Italia, Usa, Colombia e altri. I fatti contestati risalgono al gennaio 2022. Già negli scorsi mesi questa opaca vicenda era stata trattata dalla trasmissione Le Iene, pure se il diretto interessato bollò il tutto come “fandonie”. Baffino e gli altri si sarebbero adoperati quali promotori dell’iniziativa economica commerciale di vendita al governo della Colombia di prodotti di aziende italiane a partecipazione pubblica, quali Leonardo e Fincantieri: i magistrati, infatti, contestano la vendita di aerei M 346 prodotti da Leonardo e quella di corvette e piccoli sommergibili e allestimento di cantieri navali prodotto dalla Fincantieri “al fine di ottenere da parte delle autorità colombiane la conclusione degli accordi formali e definitivi aventi ad oggetto le descritte forniture ed il cui complessivo valore economico ammontava a oltre 4 miliardi di euro”, secondo quanto emerge da fonti giudiziarie. (Continua a leggere dopo la foto)
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La tangente

E, per ottenere ciò, D’Alema e il resto della banda offrivano e promettevano ad altre persone “il corrispettivo illecito della somma di 40 milioni di euro corrispondenti al 50% della complessiva provvigione di 80 milioni di euro”, ancora secondo i giudici di Napoli. Nell’indagine sono altresì coinvolti Edgardo Fierro Flores, capo del gruppo di lavoro per la presentazione di opportunità in Colombia, Marta Lucia Ramirez, ministro degli Esteri e vice presidente della Colombia, German Monroy Ramirez e Francisco Joya Prieto delegati della commissione del Senato colombiano. Secondo l’ipotesi della Procura partenopea, come riporta lAnsa, l’ex premier si sarebbe adoperato per mettere in contatto due broker pugliesi, il 44enne Emanuele Caruso e il 39enne Francesco Amato (già precedentemente iscritti nel registro degli indagati) con Leonardo e Fincantieri. D’Alema aveva ammesso a la Repubblica di essersi occupato di Colombia “ma su altri temi”. Il resto, come abbiamo già scritto, erano “fandonie”. Ha detto poi di essere stato contattato da “personalità politiche colombiane” che chiedevano informazioni per l’acquisto di prodotti militari italiani, e di aver “informato subito Leonardo e Fincantieri”. Dopodiché, ha affermato, “i contatti che sono stati avviati hanno avuto un carattere ufficiale” e hanno riguardato uno studio legale non legato a D’Alema. (Continua a leggere dopo la foto)
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La telefonata intercettata

In una telefonata a D’Alema, un mediatore colombiano avrebbe poi lamentato di non essere stato pagato (“mi considerava il garante dell’operazione”, ha detto l’ex presidente del Consiglio) e a quel punto D’Alema avrebbe pronunciato la frase emersa dalle registrazioni: “È stupido creare problemi, siamo convinti che riceveremo 80 milioni, questa è la posta in gioco“. Nel frattempo, la trattativa è stata sospesa.

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