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“I vaccinati muoiono di più”. Ora è ufficiale e a dirlo è uno dei quotidiani più prestigiosi al mondo

Pubblicato il 24/11/2022 20:31

Alcuni di voi si ricorderanno di George Orwell in “1984”, quando nel suo distopico racconto illustrava il funzionamento del “bipensiero”. Come spiega Byoblu nell’introdurre l’articolo che andremo a riprendere, era la tecnica attraverso cui il Grande Fratello riusciva a far credere ai propri sudditi due verità completamente opposte. Ebbene, le assonanze tra “1984” e la realtà degli ultimi due anni sembrano continuare a crescere in un processo che assume sempre più le sembianze di un grande esperimento sociale, troppo controverso per poter essere percepito come reale, ma fin troppo concreto per poter esimersi dal pagarne le conseguenze. Anche il Washington Post sembra aver deciso di essere parte integrante di questo grande “test”.
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In un articolo pubblicato lo scorso 23 novembre, intitolato “Covid, non è più una pandemia soprattutto dei non vaccinati. Ecco perché”, il famosissimo quotidiano statunitense riporta i risultati di un’analisi condotta da Cynthia Cox, la vice presidente della Kaiser Family Foundation. Si tratta di un’organizzazione americana senza scopo di lucro, con sede a San Francisco, in California, considerata tra i top level in ambito sanitario. Ciò che emerge dall’analisi è ormai cosa nota tra i più: la maggior parte degli americani che attualmente muoiono per coronavirus, circa il 58%, sono stati inoculati con la prima serie di vaccini. “Con l’aumento dei tassi di vaccinazione e la comparsa di nuove varianti”, scrive il Washington Post, “la percentuale di decessi di persone vaccinate è in costante aumento”. Parole chiare, di scarsa interpretabilità. Oppure no?
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Ebbene, se a settembre 2021 le persone vaccinate costituivano soltanto il 23% delle vittime da Coronavirus, tra gennaio e febbraio, durante l’avvento della variante Omicron, la percentuale è salita al 42%. Secondo lo studio riportato a chiare lettere dal quotidiano, tali numeri si basano sulla data dell’infezione e si limitano a un campionamento dei casi in cui era noto lo stato di vaccinazione. Inoltre, la maggioranza delle morti per Covid sono ancora concentrate nelle fasce più anziane della popolazione, dai 75 anni in su: “Gli anziani sono prevalentemente immunizzati”, prosegue il Post, “ma i vaccini sono meno efficaci e la loro potenza diminuisce nel tempo nei gruppi di età più avanzata”. Per quelli dotati di un minimo di spirito d’analisi e d’osservazione la “traduzione” sembra essere abbastanza ovvia: ciò significa che il farmaco sperimentale iniettato a milioni di persone in tutto il mondo non solo non protegge dal contagio, non frena la trasmissione del virus, ma non protegge neanche dalla morte. Tutto chiaro dunque. E invece no.
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Secondo il Washington Post, infatti, questi dati rappresentano la dimostrazione di quanto sia necessario procedere con i vaccini aggiornati. “Essere non vaccinati è ancora un fattore di rischio importante” sottolinea il quotidiano, che cita poi l’analisi fatta la scorsa settimana dai CDC, il quale a sua volta metterebbe in risalto la necessità di avere regolari iniezioni di richiamo in maniera tale da mantenere basso il rischio di morte dal coronavirus, specialmente per gli anziani. Ciò che se ne evince, dunque, è che più un farmaco non funziona e più lo si vorrebbe somministrare, senza tenere minimamente conto del fatto che oltre alla risibile efficacia in termini di prevenzione ed immunizzazione, i sieri sono per stessa ammissione di chi li produce assolutamente esenti da studi a norma che ne mettano in risalto gli effetti avversi sulla salute umana. Non c’è bisogno di ricordare che Pfizer e Moderna hanno da poco dichiarato, dopo un anno dalla messa in commercio dei loro “vaccini” mRNA, di voler iniziare a studiare gli effetti avversi sull’apparato cardiocircolatorio.

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