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Altro che ripresa: tassi esorbitanti e tempi biblici. Così muoiono le imprese italiane

Pubblicato il 27/04/2020 10:18

C’è una differenza abissale tra quanto sta facendo l’Italia per le sue imprese e i suoi lavoratori e quanto invece stanno facendo gli altri Stati. E il tutto ha a che fare con due elementi fondamentali per la ripresa: il tempo e la quantità. Negli altri Stati, Usa e Germania ad esempio, i soldi si ottengono subito. Tanti. E praticamente in regalo. Da noi, invece, i tassi sono altissimi e i tempi di erogazione infiniti. Il presidente dell’Unione Industriale, Dario Gallina, che ha una sede della sua impresa anche in Germania, spiega a La Stampa: “La mia azienda tedesca ha ricevuto due finanziamenti a fondo perduto. Soldi veri, non prestiti, dimostrando un calo del fatturato e mantenendo l’occupazione. In totale sono stati erogati 34 mila euro ma non si devono restituire. È bastato compilare un modulo di tre pagine e dopo meno di una settimana li avevamo”.

Un altro esempio, sempre riportato da La Stampa, è quello di Vincenzo Ilotte, che guida la 2A Spa, con impianti negli Usa: “In Italia abbiamo chiesto la cassa integrazione peri nostri dipendenti. Negli Usa, invece, abbiamo avuto accesso al piano Ppp (Pay-check Protection Program) che prevede, per le società che hanno meno di 500 dipendenti, dei finanziamenti a fondo perduto pari a 2 volte e mezzo i soldi spesi dall’azienda per pagare i dipendenti nel mese equivalente dell’anno scorso. Noi a marzo dell’anno scorso abbiamo pagato 400 mila dollari di stipendi e abbiamo avuto 1 milione di finanziamento. La pratica per ottenere questi soldi dura cinque minuti, basta consegnarla alla banca di riferimento e in una settimana viene erogata la somma. Il 75% del finanziamento deve essere speso per pagare il personale e il 25% per affitti, macchinari e altre spese vive. Se si rispetta la percentuale del 75% per il personale allora questi soldi sono praticamente regalati. Se ne viene spesa una percentuale minore per gli stipendi, vanno restituiti in 8-10 anni a un tasso bassissimo. Un sistema immediato e molto interessante”.

La sfida della ripartenza economica, da questa prospettiva, si presenta piuttosto agevole. Da quella italiana, invece, è un disastro. Claudia Luise e Gianluca Paolucci nel loro articolo pubblicato su La Stampa hanno ricostruito l’iter italiano. Un dramma vero. “Le imprese italiane devono contrattare tassi ragionevoli e districarsi in gimcane burocratiche per avere prestiti bancari malgrado le misure del recente decreto Liquidità. E poi se la devono vedere coi concorrenti europei o americani che hanno soldi veloci, con poca burocrazia e spesso a fondo perduto”. Alcuni esempi? “Da Intesa Sanpaolo, un prestito di 100 mila euro (a cinque anni e senza garanzia ipotecaria) con la garanzia statale del decreto Liquidità può costare fino al 14% di interessi annui. Con l’ipoteca, avere la stessa cifra da restituire in 20 anni richiede molto meno: circa la metà”.

Altro esempio: “Ubi Banca, a differenza di Intesa, non dà un dettaglio puntuale delle varie tipologie di prestiti per tipo di tassi e ammortamenti, ma indica a titolo esemplificativo un tasso massimo superiore al 9% per un prestito di 300 mila euro, rimborsabile in 12 anni a tasso fisso. E poi, spiega un consulente aziendale, ‘fanno paura le commissioni previste di istruttoria e incasso rata, estinzione anticipata, eccetera. Poco da buon samaritano’. Con questi tassi d’interesse, le imprese medie e piccole devono contrastare il blocco delle attività imposto dalla pandemia, gli impegni con clienti, fornitori e dipendenti, e in ultima analisi innescare la ripartenza del paese”. Un disastro. Una soluzione inefficace e che sa anche di beffa.

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