Un settore in ginocchio, abbandonato a sé stesso. Dove i ristoranti rischiano di lasciare presto il posto alle “dark kitchen”, cucine fantasma dove non si può entrare ma si produce soltanto cibo da consegnare a domicilio, assemblato sulla base di informazioni preziose carpite dalle multinazionali alle aziende che si occupano della distribuzione porta a porta. Il mondo della ristorazione vive un momento drammatico, senza precedenti, lanciando continue grida d’allarme che non trovano, però, un governo sensibile all’ascolto. Con numeri sempre più terribili, settimana dopo settimana.
Il dato peggiore arriva, ovviamente, dai mancati incassi legati alle restrizioni con cui i ristoratori si sono trovati a combattere per tutto l’anno. Nel corso del 2020 il settore ha perso addirittura il 40% del fatturato registrato nel corso del 2019, con la popolazione italiana che ha aumentato sì la propria spesa alimentare, ma all’interno di supermercati e negozi di genere, mentre i locali rimanevano vuoti e cercavano di compensare con le consegne a domicilio almeno una parte degli ingenti danni subiti.
Un quadro terribile, quello traggiato dal rapporto dell’Osservatorio Ristorazione e che coinvolge Istat, Censis e varie associazioni di categoria. Nel corso del 2020, a chiudere i battenti sono state ben 22.692 imprese, mentre quelle avviate nel corso dell’ultimo anno sono soltanto 9 mila, il dato più basso negli ultimi dieci anni in Italia. A perdere maggiormente imprese nel settore della ristorazione sono state le grandi città come Roma, Milano e Torino, anche se il boom di locali scomparsi è andato in scena a Firenze (addirittura +87% rispetto al 2019).
Abbandonati dal governo, che alle limitazioni non ha fatto seguire aiuti sufficienti, i ristoratori si sono trovati a ricorrere al delivery e al take away come uniche modalità per riuscire a incassare qualcosa, anche se una parte (il 23%) ha preferito lasciare completamente chiusi i battenti. Un fenomeno che ha visto sempre più locali affidarsi a piattaforme esterne per la consegna del cibo, andando così ad aiutare involontariamente le multinazionali del settore nella raccolta di dati preziosi, da vendere poi a grandi colossi pronti ad acquistare le cucine tradizionali, svendute dai proprietari disperati, per trasformarle in dark kitchen.
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