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“La Norvegia dice no”: dopo la Germania, un altro schiaffo in faccia all’Unione Europea (e a Draghi)

Pubblicato il 27/10/2022 15:55

La Norvegia volta le spalle all’Unione Europea. E lo fa in maniera decisa, segnando una svolta nella (presunta) strategia comune tanto invocata negli ultimi mesi da Mario Draghi sulla gestione dell’emergenza energetica: “Rispettiamo il lavoro che sta facendo l’Ue contro il caro energia, ma non è il governo norvegese a vendere il gas, sono le aziende private. Per questo il modo più ragionevole” per intervenire “è avere un quadro commerciale in cui le aziende si incontrano”. A dirlo è stato il ministro dell’Energia norvegese, Terje Aasland, che durante una conferenza stampa a Oslo con la commissaria Ue per l’Energia, Kadri Simson, ha di fatto bocciato l’idea di un price cap, un tetto al prezzo del gas, sbandierata a più riprese dalle istituzioni Ue negli ultimi mesi. (Continua a leggere dopo la foto)

“Nemmeno la Commissione o io compriamo il gas – ha ribattuto Simson – lo fanno le aziende. Ma noi vogliamo dare certezza e prevedibilità”. All’interno dell’Unione, dunque, le distanze su un tetto al prezzo del gas (ora in calo) usato per produrre elettricità restano enormi. Una presa di posizione che arriva a commento del documento presentato dalla Commissione Ue su vantaggi e svantaggi del modello iberico per affrontare la crisi. (Continua a leggere dopo la foto)

Nel testo, anticipato dal Corriere della Sera, ci sarebbe anche un primo disaccoppiamento del gas dall’elettricità attraverso la separazione dei contratti di elettricità prodotta con rinnovabili e nucleare rispetto al mercato quotidiano del gas. La generazione elettrica a gas avrebbe il ruolo di controbilanciare l’effetto della volatilità della generazione rinnovabile in attesa di sostituire completamente il gas con le fonti verdi. (Continua a leggere dopo la foto)

La proposta sostenuta dall’Italia e altri 14 Paesi, tra cui Francia e Spagna, è di fissare un prezzo massimo a tutte le importazioni di gas in Europa. Un’idea che ha trovato il consenso di Bruxelles ma contro la quale si sono schierate Belgio, Lussemburgo, Austria e soprattutto la Germania, che ha deciso di puntare su un piano da 200 miliardi per difendere le aziende e le famiglie tedesche dal caro gas.

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