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Ilva, tre anni e mezzo per Vendola, maxi-condanna per Fabio e Nicola Riva

Pubblicato il 31/05/2021 15:04 - Aggiornato il 31/05/2021 16:16

Nell’ambito del processo “Ambiente Svenduto” sul disastro ambientale causato dall’acciaieria sotto la gestione dei Riva, tra il 1995 e il 2013, la Corte d’Assise del tribunale jonico ha giudicato colpevoli i principali imputati (tra i 47 di cui 44 persone e 3 società).

Fabio e Nicola Riva, ex proprietari e amministratori dell’Ilva, sono stati condannati dalla Corte d’Assise di Taranto a 22 e 20 anni di reclusione: “Rispondono di concorso in associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale, all’avvelenamento di sostanze alimentari, alla omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro”. (Continua dopo la foto)

A Girolamo Archinà, responsabile delle relazioni istituzionali, sono stati inflitti 21 anni e 6 mesi. 18 anni invece ai principali fiduciari dell’acciaieria, considerati una sorta di “governo ombra” dei Riva.

Mentre a 3 anni e mezzo di reclusione è stato condannato l’ex presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, “accusato di concussione aggravata in concorso, in quanto, secondo la tesi degli inquirenti, avrebbe esercitato pressioni sull’allora direttore generale di Arpa Puglia, Giorgio Assennato, per far ‘ammorbidire’ la posizione della stessa Agenzia nei confronti delle emissioni nocive prodotte dall’Ilva”. (Continua dopo la foto)

Vendola con un attacco frontale alla giuria ha così risposto: “Mi ribello ad una giustizia che calpesta la verità. Appelleremo questa sentenza, anche perché essa rappresenta l’ennesima prova di una giustizia profondamente malata. Sappiano i giudici che hanno commesso un grave delitto contro la verità e contro la storia”. Si è definito un “agnello sacrificale” e ha sostenuto che “non starò più zitto”. Quindi ha definito la sentenza una “vergogna” e una “carneficina del diritto e della verità”.

L’ex presidente della Provincia di Taranto, invece, Gianni Florido, è stato condannato a 3 anni: era accusato di aver fatto pressione sui dirigenti della sua amministrazione perché concedessero l’autorizzazione all’Ilva per l’utilizzo della discarica interna alla fabbrica. Stessa pena per per l’ex assessore provinciale all’ambiente Michele Conserva.

L’ex consulente della procura Lorenzo Liberti ha ricevuto una pena di 15 anni. “Imputato con l’accusa di aver accettato una tangente di 10mila euro per ammorbidire una perizia sul siderurgico”, si legge su Il Fatto Quotidiano.

Condannato a 2 anni per favoreggiamento anche l’ex direttore di Arpa Puglia, Giorgio Assennato. Mentre è stato assolto il prefetto Bruno Ferrante, presidente dell’Ilva, per cui l’accusa aveva chiesto 17 anni. Ilva dovrà invece pagare con una “sanzione di 4 milioni euro” e la “confisca dell’area a caldo dello stabilimento”.

Mario Conca, coordinatore regionale Puglia ItalExit, dichiara: “Queste condanne sono solo l’ultima dimostrazione che a Taranto, da settant’anni, si è costretti a scegliere tra diritto al lavoro e diritto alla salute. Auspico che questa condanna possa rappresentare un nuovo inizio per la terra jonica che porti alla definitiva dismissione dell’impianto, con relativa bonifica e ricollocamento del personale diretto e indiretto. Taranto è Archeologia, Enogastronomia, Mare, Mitilicoltura e logistica portuale. Taranto non è acciaio, quell’asset italiano l’ha già chiuso il mercato globale e i Mittal sono venuti per dare il colpo di grazia lasciando il bubbone a Invitalia”.