di Fabrizio Pezzani.
Il presente saggio si richiama all’opera “Arcipelago Gulag” scritta da Alexandr Solzenicyn sul sistema dei campi di lavoro forzato nell’URSS. Durante il regime comunista, l’utilizzo sistematico della giustizia politica disseminò l’Unione Sovietica di campi di concentramento e di isolamento.
Il Gulag descritto da Solzenicyn ( Direzione generale dei campi e dei luoghi di detenzione) era un’istituzione penitenziaria volta a rieducare il prigioniero spesso tramite il lavoro. Oggi con la parola “gulag” si intende spesso oltre alla narrazione storica in senso traslato qualsiasi contesto strutturale che genera una limitazione delle libertà personali in virtù di fatti o disposizioni normative che creano una sorta di segregazione non solo fisica ma anche sociale ed interpersonale.
La situazione attuale sociale e sanitaria determinata dalla pandemia Covid sembra riprodurre, a suo modo, una sorta di “Arcipelago Covid” in cui le misura di deterrenza della forma virale toccano le libertà personali, le possibilità relazionali e creano con le misura di blocco coercitive una sorta di società sotto scacco in una sorta di controllo normativo – burocratico lontano dalla realtà, assolutamente asettico di fronte all’emozionalità in crisi della società ed incapace di risolvere i problemi.
Questo controllo “legale” non sembra in grado di mediare le forme di proibizione relazionali con la necessaria attenzione alla piaga del disagio sociale dell’isolamento e dalla lontananza di istituzioni che sembrano eteree; l’isolamento forzato senza forme compensative diventa una forma di offuscamento dell’individua come persona. In questo modo l’equilibrio e la stabilità sociale vengono messi in crisi e con esse l’identità delle singole persone che sembrano essere perse tra le infinite righe, commi, articoli, Dpcm… di una burocrazia che nasconde con una complicazione ottusa la sua incapacità di dare una risposta ai problemi veri che sono la tutela non tanto della libertà personale ma dell’equilibrio psichico delle singole persone come dimostrano i tanti casi giornalieri di autodistruzione.
In questo “Arcipelago Covid” le persone sembrano muoversi in una sorta di deserto kafkiano in cui non vi sono certezze ma solo paure, disagi sociali e domande a cui non sembrano esistere risposte ed una sostanziale mancanza di empatia sociale che distrugge il senso di essere persona.
A fronte di questo dramma non solo sanitario ma di sistema e di equilibrio sociale si affianca in modo parallelo un circo Barnum di giornalisti autoreferenziali e supponenti , epidemiologici illustri , politici persi in una bolla soffocante e distruttiva .. tutti a promuovere sé stessi ma non il bene comune. Sono tutti a difendere punti di vista molto diversi e talvolta contraddittori tra di loro, sia sulle misure da adottare, sia sui possibili nuovi rimedi per rispondere all’emergenza… Tutte queste controversie hanno introdotto dubbi, paure, incertezza nella mente dei cittadini che rimangono senza risposte in una sorta di alienante isolamento dalle istituzioni che dovrebbero essere preposte a tutelare i cittadini e non a sopravvivere a sé stesse.
La decadenza del nostro modello culturale ha trovato con il covid la massima evidenza del suo fallimento, della sua incapacità di costruire un benessere comune ma funzionale a favorire interessi particolari da realizzare anche illecitamente.
L’arcipelago covid ci mette a contatto con l’incertezza della vita che sembrava allontanata dalle scoperte scientifiche, la tecnica innalzata a virtù suprema ha ingannato l’uomo portandolo a sognare un mondo inesistente. Forse questa situazione può fare riflettere sul senso dell’economia che deve essere un mezzo e non un fine nella società, sulla necessità di riscoprire il senso di solidarietà ed il ritorno a produzioni locali, all’abbandono di una finanza illusoria e fallimentare, alla ricostruzione di una classe dirigente che abbia come nel dopoguerra il senso sociale e veda la politica come una virtù umana e non solo come la realizzazione di fatui interessi particolari.
Forse allora l’aripelago covid potrà portare dopo il dolore la saggezza perché come scriveva Eschilo con il suo “Pathei mathos” (conoscere soffrendo) sembra che solo con il dolore l’uomo riacquisti la saggezza.