Affari miliardi sparsi per tutto il mondo. Con una serie di stratagemmi che consentono, però, di sottrarre i loro tesori alle mani del Fisco. Il 40% dei profitti delle grandi multinazionali, le vere vincitrici di un’emergenza sanitaria che le ha arricchite a dismisura, è infatti custodito nei paradisi fiscali dove le tasse sono low-cost. Una pratica ancora, purtroppo, impunita, e che soltanto all’Italia costa 26 miliardi di mancati incassi l’anno.
Stando ai calcoli di uno studio effettuato dall’università di Berkeley, quella di Copenaghem e del National Bureau for Economic Research, se tutti i paesi del mondo adottassero la stessa aliquota fiscale, l’Europa avrebbe un gettito superiore del 15% e gli Stati Uniti del 10%. A tanto ammontano le cifre sottratte all’erario dai colossi globali, che sono riusciti col passare del tempo a rendere sempre più “furbi” i loro pagamenti delle imposte, così da schivare il più possibili tassazioni gravose.
La ricerca è partita da un dato di fondo: le imposte sui grandi gruppi internazionali sono crollate dal 48% del 1985 al 24% degli ultimi anni. Merito di qualche taglio alle aliquote dei paesi più sviluppati ma soprattutto dello spostamento di una buona fetta degli utili nei paradisi fiscali offshore, dove la pressione del Fisco è molto, molto più leggera. Soltanto negli ultimi 35 anni, 700 miliardi dei profitti delle multinazionali hanno cambiato casa portando dal 10 al 40% il totale spostato offshore. Con qualcuno che, all’interno dell’Ue, continua a giocare sporco.
Alcuni Paesi, in primis l’Italia, sono infatti vittima delle scorrettezze di chi abita non troppo lontano. Dei 26 miliardi di gettito perso ogni anno da Roma, secondo lo studio, ben 23 miliardi sono emigrati verso altri paesi all’interno dell’Unione, dal Fisco ben più accogliente per le multinazionali: un gruppetto capeggiato da Irlanda, Olanda e Lussemburgo. Le stesse che poi, puntualmente, invocano rigore economico quando c’è da parlare di solidarietà e aiuti a chi è in crisi. Ad approfittarne sono i vari Google, Amazon, Facebook, Uber, Airbnb, Apple. Con l’Europa che continua a fare proclami, promettendo battaglia, senza mai concludere niente.
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