Un tonfo profondissimo, quello fatto registrare dal nostro export. Voce che da sola pesa per circa un terzo del prodotto interno lordo italiano e che ha già fatto registrare nel corso del 2020, un calo del 5,1%: in soldoni, una sforbiciata da circa 30 miliardi di euro. Uno dei motivi che ha spinto il governo a tentare di correre ai ripari, con l’annuncio di un intervento da 200 miliardi destinati a sostenere le esportazioni che, però, rischiano di scontrarsi con procedure lente, troppo per un’emergenza che richiede invece puntualità e celerità negli interventi. E che, in ogni caso, non potranno bastare da sola a risollevare la situazione.
Il Nord, la zona più colpita dal coronavirus, è d’altronde quello che da solo genera il 71,8% dell’export italiano, il 27% rappresentato dalla sola Lombardia, Regione messa letteralmente in ginocchio dal Covid-19. L’epidemia ha centrato il cuore produttivo del Paese, come testimoniato dall’ultimo rapporto CsC dal quale emerge anche come sia la tipologia di prodotti che esportiamo a penalizzarci maggiormente. Le attività considerate “non essenziali” e per questo fermate dal governo generano infatti oltre la metà del nostro export, il 56%.
Licia Mattioli, vice presidente di Confindustria, ha chiesto a tal proposito “chiarezza su come saranno allocati i finanziamenti previsti dal decreto. Sarebbe opportuno coinvolgere Confindustria nell’applicazione della strategia del governo”. Per poi suggerire: “Stiamo perdendo quote nelle catene globali, le nostre imprese rischiano di essere sostituite da altri fornitori. È necessaria, dopo Pasqua, una riapertura graduale, nel rispetto assoluto dei parametri di sicurezza, a partire dalle Regioni meno colpite e procedendo per settori”.
A penalizzarci nei rapporti con l’estero è anche la composizione del nostro export, che per oltre la metà è diretto verso altri Paesi Ue, in primis Francia e Germania, zone anch’esse colpite in maniera profonda dall’emergenza: Berlino pesa ad esempio per Lombardia e Veneto per il 24% delle esportazioni, per il Piemonte per il 27%, per l’Abruzzo addirittura per il 32%.
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