Tanto rumore per nulla, al solito. La riunione indetta tra la Conferenza Stato-Regioni e i sindacati di categoria per cercare una soluzione sul fronte tamponi si è risolta, nonostante un acceso confronto, con un buco nell’acqua. Nessuna intesa, nessun accordo. E allora le parole del governo, che aveva parlato di “controlli rapidi da parte dei medici di famiglia”, rischiano di rimanere tali. I dottori hanno dato massima disponibilità, ma la maggior parte degli studi medici non ha i requisiti necessari per procedere. Una situazione tutt’altro che facile, considerando la curva dei contagi sempre più allarmante. E per la quale, al momento, una vera e propria soluzione non c’è.
Il segretario nazionale della Federazione dei medici di medicina generale, Silvestro Scotti, ha parlato dell’ipotesi di “collaborazione con i Comuni, per allestire locali o tende in grado di accogliere medici e pazienti. Nelle prossime ore si definiranno i dettagli”. Difficile immaginare quanti, tra i medici di famiglia, potranno mettersi all’opera. Di sicuro invece, come rivelato dai dati pubblicati da La Stampa, gli studi già in regola per poter effettuare i test sono pochi, pochissimi. “La nostra stima è un 15-20% – è stata l’analisi di Claudio Cricelli, presidente della Società di medicina generale – perché servono particolari condizioni logistiche: ingressi e uscite separati dagli altri pazienti, stanze dedicate”.
La Regione Lazio ha fatto già un bando specifico, ottenendo al momento la risposta di poco più di 300 medici su 4mila. Dovranno sottoscrivere un profilo di sicurezza e riceveranno i kit per i tamponi dal sistema sanitario regionale. I numeri, insomma, al momento non ci sono. Si ragiona su possibili alternative, come i tamponi a domicilio. O l’utilizzo di spazi all’aperto come le parrocchie. Perché l’avanzata del virus, nel frattempo, preoccupa. E aumentare i controlli, rendendoli allo stesso tempo più veloci, è un passaggio chiave per vincere la battaglia.
Tra i nodi da sciogliere, il riconoscimento economico per ogni tampone eseguito e trasmesso alla Asl. Anche perché il servizio sarà gratuito per i cittadini, che invece dovranno pagare di tasca loro se andranno a chiedere il test rapido in farmacia. Le Regioni si sono già attivate, ognuna con i propri percorsi. Resta, tristemente, il solito dubbio: perché tutto questo non è stato fatto prima, invece di attendere l’esplosione della seconda ondata? Un mistero al quale ancora nessuno è riuscito a trovare una soluzione.
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