Il mondo dello sport alza la voce contro il governo Conte, convinto di star pagando un prezzo altissimo e, sostanzialmente, ingiusto. E con la spiacevole sensazione addosso che il peggio debba ancora venire. Il nodo palestre e piscine, in questo senso, è emblematico della schizofrenia di un esecutivo dal quale è possibile aspettarsi tutto e il contrario di tutto. Il ministro per la Salute Roberto Speranza e il Comitato tecnico-scientifico volevano la chiusura, il titolare dello Sport Vincenzo Spadafora e le Regioni erano invece favorevoli al prosieguo delle attività. Alla fine, il compromesso: una settimana di tempo per adeguarsi alle normative anti-Covid, pena la stop forzato.
Finita qui? Chissà. Di questi tempi le certezze sono poche, praticamente nulla, e i colpi di scena nascosti dietro ogni Dpcm. Spadafora continua a sostenere che l’accanimento contro il mondo dello sport sia ingiustificato, considerata l’assenza “di evidenze scientifiche che denunciano focolai in relazione all’allenamento individuale nei luoghi controllati”. Come dire “cari colleghi di governo, state puntando al bersaglio sbagliato”. Anche perché le beghe interne alla squadra giallorossa, molto indecisa sul punto, rischiano di avere un prezzo altissimo, andando a bloccare un settore che stando ai dati Unioncamere e InfoCamere è rappresentato al 30 giugno 2019 da circa 23 mila operatori.
In totale, come riportato dal Sole 24 Ore, parliamo di 5.167 imprese attive nella gestione degli impianti, 5.100 nella gestione delle palestre e 4.986 club sportivi, cifre alle quali vanno sommate le 8.217 organizzazioni sportive e di promozione di eventi legati allo sport. Con un giro d’affari stimato per le attività sportive non agonistiche legate al fitness pari a circa 10 miliardi l’anno. Insomma, il governo Conte rischia di imporre lo stop a un settore dai numeri imponenti senza nemmeno avere la certezza che serva davvero a contenere la diffusione del coronavirus. Danneggiando anche il comparto della produzione di attrezzature, calzature e abbigliamento sportivo: un business dal fatturato annuo di 13 miliardi di euro.
Da quest’orecchio, però, i giallorossi non sentono. Già in occasione del primo lockdown le associazioni di categoria avevano snocciolato dati allarmanti sulle perdite causate dal blocco prolungato al settore. Uno scenario che rischia di ripetersi con copione assai simile. La Figc ha chiesto di avviare un confronto urgente “con le istituzioni a sostegno delle 9.000 società che svolgono questa attività, perché sarebbe necessario garantire il diritto al gioco dei bambini e delle bambine più piccole, così come proseguire nella formazione tecnica dei più giovani, seppur in maniera non competitiva, all’interno dei centri e nel rispetto dei protocolli”. Parole che rischiano, però, di volare via col vento giallorosso.
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