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Scandalo mascherine, i mediatori di Arcuri “speravano in un altro lockdown”

Pubblicato il 18/02/2021 11:35 - Aggiornato il 18/02/2021 11:36

Un’indagine dalle tinte sempre più inquietanti, quella portata avanti dal nucleo speciale di polizia valutaria (coordinata dal procuratore aggiunto Paolo Ielo e dai pm Fabrizio Tucci e Gennaro Varone) sul maxi-acquisto di mascherine dalla Cina per un valore complessivo di 1,2 miliardi di euro, una partita composta da 800 milioni di pezzo comprati dall’Italia, però, a un prezzo superiore a quello di mercato. E rivelatisi, poi, inefficienti rispetto agli standard di sicurezza richiesti. Una storia di amici cinesi, bonifici all’estero, soldi nascosti. Che sfiora da vicino il commissario dei commissari Domenico Arcuri, per il quale è però stata chiesta l’archiviazione.

Scandalo mascherine, i mediatori di Arcuri "speravano in un altro lockdown"

Alla base di tutto, secondo i pm, ci sarebbe il rapporto tra lo stesso Arcuri e il giornalista Mario Benotti, diventato celebre in questi giorni per quel curriculum falsificato con tanto di laurea in giurisprudenza inventata di sana pianta e mediatore tra la struttura commissariale e la società cinese che ha venduto le mascherine. Tra gennaio e maggio, tra i due ci sarebbero stati ben 1.282 contatti telefonici, una raffica continua di chiamate che per i magistrati “vulnerava l’imparzialità” di Arcuri. Per questo “la retribuzione del credito personale speso dal mediatore verso il pubblico si connota di illecito, poiché tale retribuzione comprova un privilegio di accesso, superando il filtro delle pari opportunità”. Un patto tra i due, insomma, che avrebbe garantito al gruppo sponsorizzato da Benotti un vantaggio competitivo.

Scandalo mascherine, i mediatori di Arcuri "speravano in un altro lockdown"

Lo stesso Benotti continua a puntare il dito verso Arcuri, sostenendo di aver “agito su sua esplicita e reiterata richiesta”. E sempre stando agli inquirenti, i contatti tra i due risalivano a prima del lockdown nazionale, quando nessuna norma consentiva ancora la deroga al codice dei contratti. Il segnale “dell’informalità con la quale si è proceduto”.

Scandalo mascherine, i mediatori di Arcuri "speravano in un altro lockdown"

La struttura commissariale non esisteva ancora, gli affati già si facevano. I pagamenti avvenivano tutti in Cina, con i fornitori orientali a dare soldi a Benotti, Andrea Vincenzo Tommasi e altri 6 indagati. Che, nei confronti reciproci, si auguravano presto “un altro lockdown”. Perché coi soldi guadagnati, nel frattempo, si erano comprati barche, auto e gioielli.

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