Il governo Draghi, seguendo un copione tristemente già visto, tira dritto, ignorando le proteste degli imprenditori italiani e proseguendo lungo la strada che porta alla svendita delle nostre spiagge, espropriate per poi essere regalate all’asta alle multinazionali straniere. Lunedì 14 marzo scadrà infatti il termine per presentare ementamenti al testo sulla riforma delle concessioni demaniali marittime, che passerà poi al voto in Senato. La proposta dell’esecutivo, inserita nel ddl Concorrenza, consiste nel riassegnare le concessioni tramite gare pubbliche entro il 2023, scelta che ha già fatto insorgere i rappresentanti di categoria.
Di fronte all’insistenza del governo, deciso a recepire la direttiva europea Bolkestein e soddisfare così gli appetiti che da tempo l’Unione Europea ha mostrato per le nostre spiagge, gli imprenditori del settore si sono spaccati: alcune sigle sindacali hanno alzato bandiera bianca e puntano almeno sul riconoscimento di un indennizzo pari al valore aziendale calcolato sui beni (passaggio al momento non previsto nella bozza approvata in Consiglio dei ministri), mentre uno zoccolo duro continua a resistere e si batte per evitare che gli stabilimenti balneari finiscano all’asta, con il sostegno del partito ItalExit fondato dal senatore Gianluigi Paragone.
Una nutrita rappresentanza di esponenti della categoria si è così radunata in queste ore a Roma per manifestare tutto il proprio dissenso di fronte a questa ingiusta presa di posizione del governo, contando anche sul supporto di molti sindaci di località balneari. Dalla parte dei contestatori si sono schierate, in maniera netta, anche le Regioni: l’assessore al demanio della Liguria Marco Scajola, coordinatore del tavolo interregionale sul demanio marittimo, ha accusato l’esecutivo per il “mancato coinvolgimento dei governatori e la mancata considerazione del valore aziendale” sul piano dei contenuti.
Per mettere a tacere qualsiasi forma di dissenso interno, il governo è però pronto a tutto, tanto che nelle ultime ore si è fatta sempre più forte la voce di una possibile fiducia in arrivo sul voto, così da costringere le forze politiche a sostegno della maggioranza a chinare ancora una volta il capo, senza proporre nemmeno modifiche al testo. La questione andrebbe affrontata con la massima attenzione e celerità, visto che in assenza di una riforma i Comuni sarebbero comunque costretti, entro la fine del 2023, a indire le gare pubbliche. Il finale di questa vergognosa storia, purtroppo, sembra però già scritto.
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