Hanno scritto e detto, in questi giorni, di tragica fatalità, di destino beffardo. Ma dietro la morte di Luana D’Orazio, la ragazza di 22 anni originaria di Pistoia stritolata da un orditoio nella fabbrica tessile di Oste (Prato) dove lavorava, c’è piuttosto l’intollerabile sensazione di una morte annunciata, la conferma che ancora oggi, nel nostro Paese, il denaro viene purtroppo prima della vita e della dignità delle persone. Con le indagini che, ora dopo ora, continuano a portare a galla dettagli sempre più agghiaccianti.
Al momento si parla soltanto di “pesanti sospetti”. Ma il quadro, intorno alla scomparsa della ragazza, si fa sempre più chiaro. A partire da un messaggio inviato dalla stessa Luana al fidanzato in cui, parlando proprio di quell’orditoio che pochi giorni dopo l’avrebbe intrappolata, lo definiva “un macchinario mezzo tronco”. Un audio che al momento non è ancora agli atti, visto che non è stato depositato dai legali della famiglia della vittima, ma che potrebbe presto essere acquisito.
Chiare sono anche le parole della madre di Luana, Emma, che alla Nazione ha raccontato: “Mia figlia mi raccontava che lavorava tanto, quasi sempre sola. Io le raccomandavo di dire qualcosa in azienda, ma lei rispondeva che tanto era inutile, che faceva quello che le veniva detto. Però mi aveva anche raccontato di aver fatto presente che lei non poteva stare sola, doveva essere affiancata da qualcuno in quanto apprendista e che se ci fosse stato un controllo ci sarebbero stati problemi”.
Nel frattempo si è dimesso il tutor aziendale di Luana, quello che stando ai messaggi della giovane scomparsa andava e veniva senza assisterla durante i suoi compiti in fabbrica e che era già stato ascoltato dalla Procura come persona informata dei fatti. I rilevamenti sul luogo della tragedia hanno evidenziato, infine, come il cancello di protezione dell’orditoio fosse collegato a una fotocellula, che però era stata disattivata. Perché e quando sia accaduto, al momento, resta un mistero. Di certa c’è invece l’odiosa consapevolezza che no, questa ennesima morte sul lavoro non è stata una semplice fatalità.
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