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Cosa si nasconde dietro la censura di Facebook e lo scandalo di Open come fact-checker “indipendente”

Pubblicato il 26/10/2022 08:24 - Aggiornato il 26/10/2022 09:46

In piena pandemia Covid, e in piena era Speranza (quel periodo buio in cui le libertà e la democrazia vennero sospese) apparve su Open, il quotidiano fondato da Enrico Mentana, la notizia che loro sarebbero stati Fact-checker contro le presunte fake news pubblicate dai complottisti del vaccino. Per inciso: oggi veniamo a scoprire, giorno dopo giorno, che tutte quelle notizie e quegli studi che venivano bollati, anche da loro, come fake news erano e sono in realtà più che validi. E la vera verità sta venendo pian piano a galla. Ci vuole ancora un po’ di pazienza, ma arriverà. Insomma, si leggeva su Open: “Fact-checking di Open è un progetto giornalistico indipendente che mira a monitorare le notizie false o fuorvianti diffuse in Italia e all’estero, fornendo un servizio di corretta informazione e degli strumenti necessari ai cittadini per imparare a riconoscere le bufale, la disinformazione, la misinformazione e tutte le altre falsità che minano la società e il processo democratico. Da aprile 2021 siamo membri dell’IFCN (International Fact-Checking Network)”. Ma che cosa c’era dietro tutto questo? (Continua a leggere dopo la foto)

A tal riguardo, su ItaliaOggi, in un articolo dall’emblematico titolo “Se i controllori delle fake-news operano soltanto come censori”, Luigi Curini spiegava: “Al dilagare delle fake-news sui social-media (o meglio, al crescere dell’isteria di alcuni, spesso interessati, riguardo la presenza di fake-news sui social media) abbiamo assistito ad un simmetrico proliferare di quelle che dovrebbero (o avrebbero dovuto?) essere la loro naturale ‘criptonite’, ovvero le agenzie di fact-checking. Alcune costruite artigianalmente, altre, in particolare da quando le grande compagnie di Big Tech hanno deciso di attrezzarsi a riguardo, in modo decisamente più professionale. L’obbiettivo comune (o almeno quello sbandierato) è verificare i fatti, attraverso un attento lavoro di accertamento degli avvenimenti citati e dei dati usati in un testo o in un discorso. Ma non è passato molto tempo per capire che il vecchio adagio di ‘chi controlla il controllore’, o meglio, in questo caso, ‘chi controlla la correttezza di chi’, tornasse a farsi sentire”. (Continua a leggere dopo la foto)

Scriveva ancora Curini: “Un caso emblematico, e di una rilevanza niente affatto banale, è avvenuto qualche giorno fa. La rivista The BMJ, una dei più antichi e influenti giornali di medicina, ha visto un suo articolo venire bollato come ‘fake’ su Facebook dall’agenzia Lead Stories, che per l’appunto svolge il lavoro di fact-checking per Facebook. Chiunque provava a condividere un certo articolo trovava il suo post evidenziato con un messaggio (visibile a tutti) che affermava che ‘secondo fact-checker indipendenti l’informazione contenuta in questo post potrebbe ingannare’ e che tale ‘informazione’ era comunque falsa. L’articolo in questione, corredato da documenti, foto, email, audio, e che ha passato la comune pratica di revisione scientifica prima della sua pubblicazione, sottolineava come nella sperimentazione sui vaccini di Pfizer ci potrebbe essere stato un problema rilevante di integrità dei dati. In tutto questo la cosa davvero preoccupante è la ragione dietro alla decisione di Lead Stories di segnalare come fake tale articolo: di fronte alla reazione scandalizzata degli editori di The BMJ, Lead Stories ha candidamente ammesso che cotanta decisione, invece che sulla base di una qualche critica all’accuratezza di quanto riportato nell’articolo, è stata al contrario basata sul fatto che l’articolo in questione era diventato popolare nelle cerchie dei critici dei vaccini su Facebook”. Esattamente il metodo Open. Ma c’è dell’altro. (Continua a leggere dopo la foto)

Concludeva Curini: “Siamo arrivati al punto che un articolo non è ‘fake’ per quello che c’è scritto, ma per le caratteristiche delle persone (buone o meno secondo valutazioni terze) che tale articolo apprezzano. Una nuova forma di ‘censura’ che forse neanche Orwell in 1984 avrebbe potuto immaginare. Il che fa riemergere con forza il tema del ruolo delle Big Tech in fatto di libertà di informazione”. In questa modalità di operare è ovviamente caduto Open. Quanto sarebbe stata utile, invece, una corretta informazione durante il periodo clou della pandemia? E invece siamo stati in pochi, troppo pochi. E la verità, comunque, ora sta arrivando, anche “grazie” alle ammissioni della stessa Pfizer. Sono stati tantissimi nei mesi passati gli articoli bollati – e di fatto censurati – da Open salvo poi dover fare clamorose retromarce per smentire se stessi. Però il danno nei confronti di altri giornali ed editori era ormai fatto. E qui veniamo ai due grandi temi in questione: quello della concorrenza sleale e quello etico. (Continua a leggere dopo la foto)

Open è un editore e viene chiamato a giudicare i contenuti pubblicati da altri editori suoi concorrenti. È ovvio che siamo in presenza di un palese ed enorme conflitto d’interessi. Perché, come funziona il meccanismo censorio di Open? Essendo, come si diceva, un editore presente sul mercato dell’informazione, ed essendo stato palesemente schierato politicamente per tutto il periodo pandemico (spingendo per gli obblighi vaccinali, il Green pass e le leggi liberticide), come poteva stabilire cosa fosse vero o non vero? Una volta che si è dato a Open (e non solo) questo potere, è ovvio che le applicazioni di tale potere poi sarebbero scaturite in conseguenze economiche e di mercato. Basti ricordare, appunto, che all’epoca chiunque dicesse – come facevamo noi studi e dati alla mano – che Pfizer non bloccava il contagio (e quindi non c’erano i presupposti scientifici per varare i Green pass e gli obblighi vaccinali) veniva bollato dal giornale di Mentana come fake news, con danni enormi sul piano della visibilità, della pubblicità e della credibilità. Oggi, grazie all’ammissione di Pfizer stessa, scopriamo che era proprio così, che il “vaccino” non era neppure mai stato testato per il blocco della trasmissibilità del virus. Cosa succede però agli altri giornali una volta che sono stati bollati? Dato che l’informazione ormai passa principalmente sugli “over the top”, Facebook e Google, se vieni bollato come diffusore di fake news anche se stai dando una notizia vera, sei tagliato fuori dall’informazione, perché l’algoritmo non ti dà più la possibilità di essere visibile sui principali social e motori. È concorrenza sleale a tutti gli effetti. (Continua a leggere dopo la foto)

Le questioni principali sono dunque due. Da un parte, come si è detto, l’enorme conflitto d’interesse dell’editore Open chiamato a bollare a destra e a manca i suoi stessi concorrenti (col potere quindi di silenziare nei fatti tutti quelli scomodi e mangiarsi fette di pubblicità), dall’altra c’è un enorme tema etico. È accettabile che questi siano gli standard a cui si adeguano gli algoritmi? Se un tuo concorrente ti banna, e dunque l’algoritmo non ti fa più vedere e ti taglia fuori dalla possibilità di essere letto, questo può determinare la fine economica di un editore. Siamo al rogo 2.0 di Giordano Bruno. C’è da aprire una grande finestra su questi temi, perché è bene che i cittadini sappiano che dietro quelli che possono apparire come dibattiti semplicemente e solamente politici o ideologici in realtà si nasconde una guerra di mercato, con enormi danni economici per tutti gli editori non allineati.

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