Si parla ormai da giorni del Mes, il Meccanismo europeo di stabilità, strumento finanziario creato per aiutare gli stati dell’Unione a fronteggiare le difficoltà di bilancio. La revisione del regolamento del Mes è oggetto di discussione tra i leader europei. Ma l’emergenza causata dall’epidemia da Covid-19 ha accelerato improvvisamente i tempi e messo sul campo altre ipotesi. Tra le proposte per fronteggiare la crisi finanziaria dei paesi europei, Italia in testa, le cui economie sono a rischio baratro se l’epidemia da Coronavirus durerà mesi come molti scenari vedono, c’è quella dei Coronabond. L’idea è arrivata proprio dal governo italiano, ma è stata bocciata proprio oggi dal ministro dell’Economia tedesco Altmaier.
I Coronabond bocciati dalla Germania
I Coronabond tecnicamente sono obbligazioni europee emesse singolarmente dagli Stati dell’Unione per coprire le spese legate alla diffusione dell’epidemia sia sul piano sanitario che sul fronte della produttività economica. L’idea è quella di emettere titoli per un totale di 500 miliardi di euro. Essi sarebbero garantiti dalla Banca europea per gli investimenti (Bei) o altri enti creditizi (non dalla Banca centrale europea quindi), al fine di finanziare investimenti nei paesi colpiti dal virus. Chi emetterebbe questi titoli? Secondo l’idea del governo italiano sarebbe il Mes. L’emissione sarebbe a favore di tutti gli stati dell’Unione, “senza alcuna condizionalità né presente né futura”. La spesa finanziata dai Coronabond verrà fatta a debito dai diversi stati Ue, sarà dunque necessario creare una situazione di stabilità dei tassi per sopportare al meglio lo sforzo nell’incremento del debito pubblico.
Il Mes resta in campo: 3 punti per capire perché è una fregatura
Come detto, però, la Germania è entrata a gamba tesa sulla questione, per bocca del suo ministro all’Economia, a poche ore dalla riunione dei ministri delle Finanze Ue. Quello sui Coronabond è “un dibattito fantasma”, ha detto. “Siamo tutti decisi a impedire una nuova crisi del debito in Europa, ovunque si presenti – ha detto il ministro tedesco intervistato da Handesblatt – ma consiglio cautela quando vengono presentati presunti nuovi concetti geniali, che molto spesso sono solo una riedizione di concetti vecchi già respinti”.
1) Il percorso istituzionale: serve approvazione del Parlamento
Il governo italiano ha bisogno dell’approvazione delle Camere per dare il via libera ad uno strumento finanziario come i Coronabond: devo informarlo e tenere conto degli indirizzi già stabiliti in materia. Lo prevede la Legge 234/2012 che regola la partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa europea. Si legge ai commi 1 e 2 dell’articolo 5: “Il Governo informa tempestivamente le Camere di ogni iniziativa volta alla conclusione di accordi tra gli Stati membri dell’Unione europea che prevedano l’introduzione o il rafforzamento di regole in materia finanziaria o monetaria o comunque producano conseguenze rilevanti sulla finanza pubblica. Il Governo assicura che la posizione rappresentata dall’Italia nella fase di negoziazione degli accordi di cui al comma 1 tenga conto degli atti di indirizzo adottati dalle Camere”. La questione giuridica è strettamente legata a quella politica: in questo momento, nel Parlamento italiano, il governo non ha la maggioranza sul Mes, considerato l’atteggiamento ostile di parte del Movimento 5 Stelle.
2) Il Mes è uno strumento creditore
Il Mes è uno strumento creditore. Come qualsiasi istituzione finanziaria che eroga prestiti, li rivuole poi indietro e con gli interessi. Il trattato che ha istituito il Mes prevede la condizionalità: cioè l’obbligo per gli stati membri di sottoscrivere impegni inderogabili (come la Grecia). In poche parole: il debito va onorato e restituito con gli interessi. Di più, il regolamento attuativo del Mes afferma esplicitamente che ogni Stato membro che lo utilizza “s’impegna ad un programma di aggiustamento strutturale” per far fronte al debito. E se questo programma non viene rispettato, può essere modificato unilateralmente dai governi degli stati membri in sede di Ecofin, il consiglio dei ministri delle Finanze degli stati Ue.
Il comma 5 dell’articolo 7 del regolamento Ue 472 del 21 maggio 2013 relativo al Mes, intitolato “Programma di aggiustamento macroeconomico” dice testualmente: “La Commissione, d’intesa con la Bce e se del caso con l’Fmi, esamina insieme allo stato membro le eventuali modifiche e gli aggiornamenti da apportare al programma di aggiustamento macroeconomico, al fine di tenere debitamente conto, tra l’altro, di ogni scostamento significativo tra le previsioni macroeconomiche e i dati effettivi, anche alla luce delle eventuali ripercussioni derivanti dal programma di aggiustamento macroeconomico, da ricadute negative e da shock macroeconomici e finanziari. Il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, decide in merito alle modifiche da apportare al programma”.
L’Ue quindi non ha bisogno di alcuna autorizzazione da parte degli stati membri per cambiare le condizioni del Mes.
Se ci fosse ancora qualche dubbio sul fatto che il Mes è uno strumento su cui gli stati sovrani non hanno potere di autonomia, c’è anche una sentenza della Corte di Giustizia del 2012. Questa afferma che il Mes è compatibile con il diritto Ue solo se prevede “prestiti condizionati”, quindi con le norme richiamate prima. Anche qui una questione politica: se si volesse modificare il regolamento attuativo del Mes, mancano sia il tempo che i numeri.
3) Il Mes è un creditore privilegiato
Terza ed ultima questione, puramente finanziaria. Ammesso che esista (al momento no) un Mes che possa erogare agli stati prestiti senza condizionalità, questi sarebbero strumenti che hanno priorità su altri prestiti che lo Stato accende. Il Mes, per sua natura giuridica, è come il Fondo Monetario Internazionale: un “creditore privilegiato”. Questo significa che i crediti del Mes saranno “senior”, automaticamente declassando a “junior” il debito che lo Stato ha verso altre istituzioni finanziarie. Le conseguenze per il sistema bancario sono evidenti: un titolo di debito declassato, che dunque perde valore, è molto più difficile da rifinanziare.
Andrea Monaci