Mentre da pochi giorni è entrato in vigore il controverso Digital Services Act, che pare più una censura che uno strumento di libertà, i colossi del Big Tech corrono ai ripari e proseguono e rafforzano le proprie attività di lobby nei Palazzi di Bruxelles. Secondo il censimento contenuto nel report Lobby-network-Big-Techs-web-of-influence-in-the-EU, curato dal Corporate Europe Observatory e Lobbycontrol, sono ben 612 le aziende, i gruppi di interesse e le associazioni di imprese che esercitano pressioni sulle politiche dell’economia digitale dell’Unione europea, per una spesa complessiva annuale di svariate decine di milioni di euro. Se, come noto, negli Stati Uniti le lobby che interagiscono con i rappresentanti e con i senatori hanno un ruolo chiave e sono regolarmente disciplinate, il fenomeno non è affatto nuovo neppure in Europa e anche Bruxelles regolamenta in modo rigido l’attività di lobby, rendendo pubblici gli incontri tra i rappresentanti delle istituzioni e le aziende private. (Continua a leggere dopo la foto)
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Chi spende di più
Nel 2012, quando si è iniziato a censire i dati, la spesa delle dieci società più attive nel lobbying ammontava a 38 milioni. Oggi invece, secondo quanto calcolato dall’aggregatore lobbyfacts.eu – basato su dati provenienti dal Registro per la Trasparenza Ue, a cui per legge devono aderire le società e organizzazioni non governative che operano nell’Unione – la spesa delle sole dieci aziende più attive nei corridoi comunitari è lievitata nel corso del 2022 sfondando il tetto dei 50 milioni di euro dai 47 dell’anno precedente. Come detto, sono i colossi del Web a farla da padroni: a guidare la graduatoria di chi spende di più è Meta, che controlla Facebook, WhatsApp e Instagram. Il gruppo di Mark Zuckerberg ha messo in campo nell’ultimo anno 8 milioni di euro, 2 milioni in più dell’anno precedente, prendendo parte a 205 incontri con la Commissione Europea. A seguire, considerando le sole spese dirette, Apple ha speso circa 7 milioni, Google 5,5 milioni, Microsoft 5 milioni, Amazon 2,8 milioni. Nel complesso, le sole Vodafone, Qualcomm, Intel, Ibm, Amazon, Huawei, Apple, Microsoft, Facebook e Google spendono più di 32 milioni di euro per essere influenti nelle decisioni comunitarie, e il 20% dei colossi della lobby ha sede negli Stati Uniti. “Gli enormi budget per le lobby di Big Tech – spiega il report – hanno un impatto significativo sui decisori politici dell’Ue: regolarmente lobbisti digitali bussano alla loro porta. L’attività di lobbying sulle proposte per il pacchetto Digital Services e il tentativo dell’Ue di frenare le Big Tech, fornisce l’esempio perfetto di come l’immenso budget delle aziende fornisca loro un accesso privilegiato: funzionari di alto livello della Commissione hanno tenuto 271 riunioni, il 75% delle quali con lobbisti del settore. Google e Facebook hanno guidato il gruppo”. (Continua a leggere dopo la foto)
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Non solo Big Tech
Si confermano, così, i picchi di attività in coincidenza dei rapporti più complicati con i politici europei. Era già capitato a Google, allorché nel 2018 aveva toccato la spesa di 8 milioni in attività di lobby: proprio nel luglio di quell’anno la Commissione europea aveva comminato una maxi-multa da 4,3 miliardi per violazione delle norme antitrust. Ma non sono solo le aziende tecnologiche a spendere così tanto: per tradizione, il settore chimico e quello petrolifero si confermano grandi lobbysti. Tra le aziende chimiche, Bayer ha speso 6 milioni, Dow Europe e Basf, entrambe, 3 milioni. E la mente non può non andare allo “sdoganamento” degli Ogm, che l’Unione europea ha annunciato di recente. Tra le aziende petrolifere, Shell è a quota 5,5 milioni e ExxonMobil a 3,5 milioni di euro. Infatti, tra il censimento del 2012 e quello del 2023, ritroviamo nelle prime dieci posizioni, a parte Microsoft, soltanto Bayer ed ExxonMobil. (Continua a leggere dopo la foto)
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I gruppi italiani, in controtendenza
E le aziende italiane? Si tende al risparmio, nel senso che le prime dieci società italiane per costi di lobby hanno impiegato, nel 2022, 9 milioni, in flessione dai 14 milioni dell’anno precedente. Guida la classifica Enel, con 2 milioni messi in campo e 117 incontri di alto livello con rappresentanti della Commissione Ue. Ha speso molto meno Eni, a quota 700 mila euro, peraltro ai minimi dal 2016 dopo che tra 2018 e 2020 aveva impiegato 1,38 milioni all’anno. Tra i primi dieci in Italia compaiono poi i nomi bancario-assicurativi: Generali, che tra i corridoi comunitari ha speso 1,25 milioni, ai massimi di sempre, e Unicredit, che nel 2022 ha confermato i 700 mila euro (anche questo un record) stanziati l’anno precedente. Seguono a pari merito Unipol e Intesa Sanpaolo, entrambe a 300 mila euro, ma fuori dalla speciale classifica dei dieci più attivi nei palazzi Ue. Tim è la nona in graduatoria, con 500 mila euro impegnati per spese e attività di lobby.
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