Ancora una volta ci troviamo a scrivere che l’Unione europea immola sull’altare green e dei “cambiamenti climatici” i diritti dei suoi cittadini, persino quello a una sana alimentazione. Altrimenti come commentare quanto proposto dalla Commissione a guida von der Lyen? La deregulation europea sui nuovi Ogm a noi sembra un’idea folle, e in effetti lo è, tuttavia la strada intrapresa è appunto quella di promuovere le biotecnologie cosiddette New Genomic Techniques (Ngt), ribattezzate in Italia come Tecniche di Evoluzione Assistita (Tea), esentandole dalle regole su etichettatura, tracciabilità e valutazione del rischio previste dalla direttiva sugli Ogm del 2001. Singolare a noi appare la coincidenza con un’altra stramba proposta della Commissione europea, ufficialmente a favore della biodiversità, su cui torneremo in seguito, ovvero l’idea di requisire la terra agli agricoltori dietro indennizzo. Il legame tra le due proposte appare piuttosto evidente. Il testo della Commissione europea propone di creare due categorie di Ogm a parte, mediante la cisgenesi e il genome editing con cui si possono modificare o sostituire piccole parti della sequenza del Dna, senza il successivo inserimento di un intero gene esogeno. (Continua a leggere dopo la foto)
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Il piano europeo e gli Ogm
I biotecnologi promettono di produrre frutti più nutrienti, ottenere piante resistenti a siccità, insetti e funghi patogeni. L’idea partorita a Bruxelles è, dunque, di sviluppare piante e colture che resistano a determinati stimoli atmosferici e fisici, in modo proporzionalmente maggiore rispetto a quelle cresciute naturalmente. Il piano, annunciato mesi fa e svelato oggi nel dettaglio, è sostenuto da una parte dalle grandi aziende agricole ma viene criticato da attivisti ambientali e piccoli agricoltori. Tecnicamente parlando, gli scienziati, attraverso un processo chiamato Crisp-cas9, possono “tagliare” determinati geni desiderati, per poi impiantarli in semenze che li svilupperanno autonomamente. Ufficialmente per “contrastare le sfide climatiche”. Nei fatti, invece, le multinazionali del settore si stanno già sfregando le mani: i quattro colossi globali agrochimici e sementieri, Corteva, Bayer-Monsanto, BASF e Syngenta, hanno già richiesto 139 brevetti su applicazioni delle nuove biotecnologie per l’editing genomico sulle piante. Il tutto al fine di acquisire la proprietà esclusiva di varietà vegetali geneticamente modificate per vent’anni e rivenderle agli agricoltori. Così facendo, realizzeranno un doppio profitto: guadagnando sia attraverso il brevetto e relativa licenza, sia attraverso la vendita. (Continua a leggere dopo la foto)
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Monsanto e gli altri colossi già al lavoro
Un vero oligopolio, il loro. Da sole le quattro corporation controllano già oggi il 62% del mercato globale delle sementi e il 51% di quello dei pesticidi. Quote che, una volta accettati tali brevetti renderebbero gli agricoltori “sempre più dipendenti da un piccolo gruppo di aziende”, come viene denunciato dalla Ong Centro Internazionale Crocevia nel rapporto “Vita Privata – Come i brevetti sui nuovi Ogm minacciano la biodiversità e i diritti degli agricoltori”. Oltre alle quattro multinazionali, gran parte dei brevetti sono in mano a Harvard University, Massachusetts Institute of Technology, Broad Institute e Sangamo Biosciences. Ciascuno di questi centri di ricerca e società biotech ha comunque stretto uno o più accordi di licenza esclusiva per l’uso delle New Genomic Techniques con le quattro mega-aziende del settore. (Continua a leggere dopo la foto)
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“Tutelare la biodiversità”
L’Unione europea, tuttavia, ammanta di “verde” qualsiasi sua più delirante proposta. Le nuove tecniche genomiche “possono darti lo stesso risultato della selezione convenzionale e naturale – ha ricordato il vicepresidente esecutivo per il Green Deal, Frans Timmermans, presentando il pacchetto in conferenza stampa – o attraverso incroci mirati, ma con molta più velocità, precisione ed efficienza”. In una nota, di cui dà conto il portale Eunews, la Commissione ha ricordato che l’Unione europea è il più grande esportatore di sementi, con il 20% del mercato mondiale, per un valore stimato di tra i 7 e i 10 miliardi di euro e settemila imprese, per lo più di piccole e medie dimensioni. Secondo la Nature restoration law, proposta dalla Commissione europea nel giugno del 2022 e recentemente perfezionata, almeno il 10% della superficie agricola totale, che per l’Italia equivalgono a 1.250.000 ettari di terreni coltivabili, dovrebbe essere destinato a infrastrutture verdi che sostengano “la biodiversità degli agro-ecosistemi”, una volta espropriato ai contadini e agli agricoltori, dietro indennizzo. Diceva qualcuno che a pensar male si fa peccato, ma spesso si indovina. Togliere dalla produzione il 10% dei terreni agricoli per diminuire le emissione di CO2 e tutelare la biodiversità, o piuttosto per “regalarle” alle multinazionali per portarci in tavola organismi geneticamente modificati?
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