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Ora l’Europa toglie la terra agli agricoltori. L’ultima follia “green” targata Ue

Pubblicato il 15/06/2023 22:11 - Aggiornato il 17/06/2023 15:53

In nome della biodiversità, e sull’altare della nuova ossessione “green” che pervade le istituzioni dell’Unione europea, potremmo dover rinunciare a una parte della nostra produzione agricola. Non pensiamo che convenga, ad esempio al nostro Paese, in cui la produzione agroalimentare è tra le poche eccellenze che ancora possiamo vantare (le altre, oramai, sono quasi tutte in mano straniera). Quando “ce lo chiede l’Europa”, che in realtà ce lo impone, sovente la beffa è dietro l’angolo. La normativa allo studio è la legge sul Ripristino della natura, la Nature restoration law, proposta dalla Commissione europea nel giugno del 2022: sarebbe la prima a livello europeo che fissa degli obiettivi vincolanti per i governi per il ripristino degli ecosistemi degradati. Vediamo cosa prevede.
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La norma e l’opposizione degli agricoltori

Ripristinare la biodiversità sia nelle aree naturali terrestri che in quelle marine, nonché nelle zone agricole e in quelle urbane, è il nobile obiettivo che la Commissione ha dichiarato di voler perseguire, in ragione del “cambiamento climatico”. In Europa si stima che circa l’80 % degli habitat sia “in cattive condizioni”, come è scritto nella proposta di legge. Ecco, dunque, la soluzione: almeno il 10% della superficie agricola totale (che per l’Italia equivalgono a 1.250.000 ettari di terreni coltivabili) dovrebbe essere destinato a infrastrutture verdi che sostengano “la biodiversità degli agro-ecosistemi”. Lo abbiamo scritto, sono belle intenzioni, ma poi c’è la realtà. La realtà dei contadini e dei produttori del comparto agroalimentare che, naturalmente, si oppongono, preoccupati da oneri eccessivi, calo della produttività e conseguenti perdite di reddito. La battaglia sulle questioni ambientali prosegue e le associazioni di categoria, tra cui la nostra Confagricoltura, sono già sul piede di guerra. La stessa Confagricoltura reputa “inadeguati e praticamente irrealizzabili” gli obiettivi fissati dalla Commissione, per gli agricoltori e silvicoltori, anche perché “molti fattori esogeni, che esulano dall’operato dei gestori del territorio o degli agricoltori, possono avere un impatto sugli indicatori“, dei quali le emissioni di CO2 è solo uno dei tanti: la proposta della Commissione individua come indicatori di benessere l’indice delle farfalle comuni e degli uccelli, lo stock di carbonio organico nei suoli minerali delle terre coltivate e la percentuale di superficie agricola con elementi caratteristici del paesaggio con elevata diversità.
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La battaglia politica

Durante il suo congresso a Monaco, il Ppe, che detiene la maggioranza relativa dei seggi a Strasburgo, ha respinto la legge e, d’intesa con le confederazioni europee degli agricoltori, ha proposto numerosi emendamenti. Se nel Ppe milita Forza Italia, a opporsi alla norma ci sono anche i Conservatori e riformisti europei, l’eurogruppo di Fratelli d’Italia, e il gruppo Identità e democrazia, in cui milita la Lega.Va segnalato che proprio stamane, 15 giugno, si è svolta la votazione in commissione Ambiente a Strasburgo e l’emendamento di rigetto della proposta di legge non è passato. Occorrerà attendere la nuova riunione fissata il 27 giugno. L’obiettivo della legge di “togliere dalla produzione il 10% dei terreni agricoli”, secondo i Popolari europei, sarebbe “un attacco diretto ai diritti di proprietà privata“. Si punta, quantomeno, a trasformare la misura su base volontaria.
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Chi sostiene la proposta

In prima fila l’organizzazione ambientalista Wwf, naturalmente i Verdi europei e poi, un po’ a sorpresa, in una lettera comune, a chiedere l’approvazione della legge ci sono anche 58 grandi aziende tra cui grossi marchi come CocaCola, Nestlé e Ikea.
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