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“La variante imprese”

Pubblicato il 10/04/2021 13:25

di Lorenza Morello, Presidente nazionale APM

In questi giorni, in diverse città italiane, si sono verificate manifestazioni sfociate anche in atti di violenza. I manifestanti al grido “stremati e furibondi non ce la facciamo più” hanno chiesto di ridare loro la possibilità di svolgere le attività lavorative, oggi fermate dal governo per lockdown. I mezzi di comunicazione hanno subito dato la parola ai “soliti” opinionisti e politici, che volentieri frequentano i salotti televisivi, e le parole, nella stragrande maggioranza dei casi, sono state di condanna non per la protesta, ritenuta dai più (anche se il bonapartismo dei garantiti a vita non è certo mancato) comprensibile, ma per la violenza della protesta.

Ebbene, è quasi banale scagliarsi contro chi fa violenza, ma è doveroso sottolineare come il progresso sociale sia da sempre avvenuto con atti di grande discontinuità, e quindi di “violenza” contro la continuità. Pensiamo alla Rivoluzione Francese che, con la sua violenza, ha consentito il passaggio dalla monarchia alla democrazia popolare e ai diritti dei cittadini. Quando esplodono fenomeni di violenza popolare contro le istituzioni, significa che esiste un malessere sociale che, se pur spesso cavalcato da forze politiche per trarne vantaggio, è reale, è tangibile.

La protesta di Roma non dev’essere vista come un caso isolato, le manifestazioni avvengono quotidianamente in diverse città lungo la nostra penisola. Non si abbia la miopia di pensare che tali azioni di dissenso siano politicizzate, condannando senza se e senza ma gli atti violenti di alcuni, e si guardi piuttosto alle migliaia di persone presenti, titolari di esercizi di somministrazione di alimenti e bevande, titolari di tutti quegli articoli non ritenuti di “prima necessità” (ma che spesso lo sono per la sopravvivenza di chi li vende) che scontano chiusure di centinaia di giorni annui, esercenti il commercio su area pubblica, senza dimenticare tutti coloro che lavorano nel mondo dello spettacolo e del turismo. Non dimenticando che ogni euro investito in cultura ne genera altri tre, non dimenticando che il turismo genera indotto per molte attività e soprattutto non dimenticando che dietro ad arti e mestieri non c’è solo una partita Iva ma ci sono uomini e donne, padri e madri, famiglie intere il cui futuro rimane incerto.

A questo riguardo è interessante fare qualche riflessione sul principio di causa-effetto.

Il principio di causa-effetto è una correlazione tra due fenomeni in cui il secondo, l’effetto, è prodotto dal primo, la causa: c’è una forma di necessità in base alla quale, avvenuto un fatto, ne avviene un altro da questo causato. In genere si intende il nesso causa-effetto come una corrispondenza biunivoca uno-a-uno, cioè un effetto è prodotto da una sola causa e viceversa una causa produce un solo effetto. In realtà la relazione è multi-a-molti perché una causa può produrre una molteplicità di effetti e un effetto può essere generato da una pluralità di cause.

Non è accanendoci sull’effetto che si migliora, ma evitando che le cause raggiungano l’interezza: più che accusare gli atti di violenza avvenuti durante le manifestazioni, è fondamentale analizzare le cause per porvi i corretti rimedi.

Ora più che mai serve coesione e concertazione d’intenti, e scongiurare la guerra dei bottoni che già trapela nelle strade della penisola dove, anziché prendersela con una politica miope che parla di aiuti futuri non avendo ancora nemmeno erogato quelli dello scorso anno, i commercianti che sono rimasti chiusi iniziano a nutrire risentimento per chi aveva il “ codice ATECO” che gli ha permesso di rimanere aperto. Entrambi senza merito e senza colpa se non quello di avere assurdi codici diversi, affibbiati da qualche burocrate lontano dalla realtà. Quelli che dalle stanze dei bottoni sentenziano: “Se il popolo non ha il pane, che mangino brioches”.

I dati Istat rilevano che in un anno sono andati persi 945mila posti di lavoro, e siamo ancora con i licenziamenti bloccati.

Serve, più che mai e soprattutto, da parte delle associazioni di categoria e dei sindacati -che troppo spesso fanno politica di palazzo anziché parlare di diritto dei propri consociati, puntando ai ristori anziché a tutelare il diritto al lavoro, fondante la nostra Repubblica come ci ricorda l’art. 1 della nostra carta costituzionale- serve, dicevo, il coraggio di affrontare scelte assumendosene le responsabilità che comportano. Perché tutti gli aiuti vanno bene ma il vero aiuto per una partita Iva e non solo, rimane la possibilità di sostentarsi con il proprio lavoro sinonimo di dignità e libertà.