L’11 febbraio ha avuto inizio una nuova fase della lotta alla pandemia in Italia, con un passo indietro, per quanto ancora abbastanza timido rispetto agli altri Paesi, sulle restrizioni: le discoteche hanno infatti potuto finalmente riaprire i battenti dopo due anni di stop continui, mentre le mascherine all’aria aperta sono andate definitivamente in pensione. Una tappa chiave di un percorso che proseguirà il prossimo 31 marzo, quando scadrà lo stato di emergenza. Cosa succederà, allora, sul fronte Green pass?
Molti esperti, in queste ore, stanno invocando l’ipotesi di un’abolizione del certificato virtuale, sulla falsariga di quanto sta accadendo in altri Stati. Ma il governo, su questo fronte, continua a glissare. Il motivo? Semplice, la paura degli italiani per la terza dose. Basta dare un’occhiata ai numeri sull’andamento della campagna di somministrazione del booster forniti dal portale Lab24 del Sole 24 Ore per capire che tra le mani dell’esecutivo Draghi c’è, in questo momento, una patata bollente, rovente. Che porterà probabilmente i nostri governanti a insistere sul Green pass.
L’81,5% della popolazione italiana, infatti, al momento ha ricevuto almeno una dose di vaccino. La percentuale di chi ha completato però il percorso con tanto di booster è di parecchio inferiore, e si ferma al 60,41% dei cittadini, per un totale di 35.799.123 persone. Segno evidente del fatto che in molti, al momento, continuano ad aspettare sviluppi: se il governo non rinnovasse l’obbligo di Green pass, probabilmente molti preferirebbero fermarsi e non ricevere un’ulteriore inoculazione.
Con il numero di persone ricoverate in terapia intensiva che continua a diminuire, lasciando spazio all’ottimismo degli scienziati e alla rabbia dei cittadini che chiedono un allentamento delle restrizioni, il 31 marzo diventa così uno snodo cruciale: Draghi e i suoi ministri sono consapevoli del fatto che, in caso di addio al Green pass, il numero di terze dosi potrebbe definitivamente crollare. Non a caso, il sottosegretario alla Salute Andrea Costa ha tracciato l’obiettivo: “Servono altre 13 milioni di somministrazioni”. Da qui l’orientamento generale a insistere sull’obbligo di certificazione virtuale. Un’imposizione che un numero crescente di cittadini inizia a malsopportare, ma con la quale probabilmente saremo costretti a convivere ancora a lungo.
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