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Il potere disgiunto dalla responsabilità: il dramma istituzionale

Pubblicato il 29/03/2021 18:41

di Fabrizio Pezzani.


Oggi assistiamo al collasso delle istituzioni a tutti i livelli per il totale scollamento tra esercizio del potere e le correlate responsabilità; sembra che chi esercita una qualche forma di potere nei suoi processi decisionali non debba mai rispondere delle responsabilità che ne derivano. Le conseguenze possono essere positive, raramente, e socialmente costruttive per la collettività, questo merita un plauso per l’esercizio di un potere che si è indirizzato verso il bene comune ma nel caso in cui queste decisioni siano risultate inadeguate ad affrontare i problemi, la regola, creandone di peggiori sembra che la colpa scivoli sempre via lasciando indenne il decisore dalle responsabilità che derivano dai suoi errori.

È del tutto evidente che non possiamo vivere e prosperare in una società in cui il potere è separato dalle correlate responsabilità eppure ogni singolo giorno di fronte a comportamenti lesivi del bene comune per ignavia o per interesse le responsabilità imputabili ai soggetti decisori svaniscono nel nulla. Il degrado morale e culturale della classe dirigente e le pericolose collusioni con gli interessi privati, il ponte Morandi è l’esempio devastante di questo clima da bassissimo impero, sono all’ordine del giorno in un silenzio assordante di tutti.

Il degrado del sistema giudiziario che sembra mostrare una pericolosa deriva di parte non esprime la necessità di una giustizia degna di questo nome, il livello culturale dei media si adegua in basso al clima generale con forme di sguaiata protesta più attenta a cogliere l’interesse che a cercare la verità, il dramma dei vaccini e dei confronti impossibili con realtà diverse come l’Inghilterrra è diventato un pollaio vociante. La classe imprenditoriale in un momento di drammatica recessione paga la forsennata rincorsa alla ricchezza a breve con i dividendi anziché perseguire una ragionata crescita a lungo di una dimenticata economia reale.


L’elenco potrebbe continuare “ad libitum” ma dimostra un franare senza fine dei valori morali e sociali che sono alla base della tenuta di una società nel tempo come dimostra la grave recessione che stiamo subendo, ci vorrebbe un atto di accusa formale per risvegliare le coscienze ma questo rimane sempre un dichiarato solo sulla carta. Ripensare alla responsabilità e come essa si configura in coloro che esercitano il potere diventa la vera sfida etica del mondo post-moderno.

ll termine responsabilità deriva dal latino “respònsus “, participio passato del verbo respòndere, rispondere cioè impegnarsi a rispondere, a qualcuno o a se stessi, delle proprie azioni e delle conseguenze che ne derivano.
Il tema della responsabilità è stato oggetto di studio specie nell’ambito filosofico per le sue implicazioni sul tema dell’etica e proprio Aristotele nell’Etica Nicomache parla della responsabilità di coloro che , esercitando il potere creano danno alla “polis”. L’etica della responsabilità viene variamente trattat da Max Weber e più recentemente da Hans Jonas, teorico dell’etica della responsabilità , che la estende nel tempo e nello spazio, nel senso che le nostre azioni vanno valutate per le conseguenze non solo nei confronti dei contemporanei ma anche di coloro che «non sono ancora nati» e verso l’intero mondo naturale che dobbiamo tutelare dalle nostre compromissioni. L’imperativo dell’etica della responsabilità viene così kantianamente formulato: “Agisci in modo tale che gli effetti della tua azione siano compatibili con la continuazione di una vita autenticamente umana”.

Il tema della responsabilità è strettamente collegato a quello del potere, qui entriamo nel dramma di un’etica del potere cancellata dagli interessi dominanti e da un modello socioculturale che ha innalzato il determinismo e la razionalità come valori assoluti. In questo contesto asettico l’uomo è diventato un esecutore di norme e decreti che sono diventati un fine mentre l’uomo perde sempre più i caratteri della sua essenzialità diventando un “uomo non umano”. Lo sviluppo del potere in questa forma asettica crea una spinta alla deresponsabilizzazione e, scomparso il lavoro artigiano l’uomo diventa una parte di un apparato produttivo in cui sembra identificarsi sempre più diventando esso stesso un mezzo di produzione, nasce l’operaio servo della macchina e l’uomo viene economicizzato.

In questo modo si disaggrega la società, la famiglia perde il suo significato e la comunità si fonda sempre meno sulla famiglia e gli uomini appaiono una moltitudine informe organizzata senza uno scopo. Al posto delle antiche radici famigliari subentrano gli apparati burocratici e produttivi che non creano una morale , così diminuisce il significato delle norme etiche sostituite dalla valutazione dell’efficacia e del risultato a scapito delle norme che difendono l’uomo; l’uomo diventa in balia del potere. L’uomo moderno in questo modo non si slega solo dalle radici ma anche dai legami religiosi come vediamo nella decadenza dell’Europa “cristiana”.

L’uomo diventa padrone delle cose ma non è padrone del suo potere sulle cose così la prassi quotidiana diventa la violenza ed il mondo diventa rischioso da viverci.
Così l’evoluzione di un potere senza limiti ha cancellato il senso etico della responsabilità; essere in possesso di un potere che non è definito da una responsabilità morale e non controllato da un profondo rispetto per la persona significa distruzione dell’umano in senso assoluto. Su questa strada aumenta la perversione di un potere senza responsabilità, non ci sono azioni che si esauriscono con il loro oggetto ma prendono anche chi le compie; l’azione penetra nel soggetto che la compie l’uomo diviene costantemente quello che fa. Se il potere senza responsabilità si sviluppa in questo modo non possiamo prevedere cosa avverrà in chi usa il potere senza un ‘etica di riferimento ma già lo vediamo ogni singolo giorno.