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“Gli uomini devono fare mea culpa, anche chi non ha fatto niente”. Le parole di Elena Cecchettin fanno discutere

Pubblicato il 21/11/2023 12:02 - Aggiornato il 21/11/2023 18:10

“Gli uomini devono fare mea culpa, anche chi non ha fatto niente”. Queste parole di Elena Cecchettin, sorella della povera Giulia, fanno discutere. Una premessa è d’obbligo: nessuno vuole giudicare Elena e la sua reazione a un dolore così immenso. Ognuno reagisce a modo suo al lutto, specialmente in una circostanza così drammatica e cruenta che ha colpito la sensibilità di tutti. Il punto non è il giudizio su ciò che pensa Elena, ma sui concetti che ha espresso, sul modo in cui questo terribile episodio di cronaca viene vissuto e sulle reazioni che sta provocando. La responsabilità penale di un delitto è personale, questo è ovvio. Incolpare un’intera categoria per i gesti di un assassino è sbagliato e anziché aiutare a risolvere un problema rischia di peggiorarlo. Crea divisioni e spaccature di cui non si sente il bisogno, anzi, dovrebbe essere il contrario. (continua dopo la foto)
Prima le botte, poi l’acido in faccia: ancora un’aggressione choc contro una donna. L’agghiacciante racconto

La maggior parte degli uomini non reagisce con violenza alla fine di una relazione. Però esiste un problema sociale più profondo, la frequenza di certi drammatici episodi preoccupa chiunque abbia a cuore la sicurezza delle donne. Che potrebbero essere madri, o sorelle, o figlie di chiunque. Emerge, in quest’epoca confusa, un’incapacità di accettare rifiuti e rotture sentimentali che ha radici profonde. Molti psicologi segnalano questo problema, imputandolo spesso all’educazione familiare. Ma forse c’è anche dell’altro. Forse dobbiamo cominciare a fare una riflessione più attenta sulla struttura della nostra società. Ed è una riflessione che coinvolge tutti. Perché queste reazioni dipendono anche dalla dissoluzione della dimensione sociale e dei luoghi di aggregazione. (continua dopo la foto)

Non ci sono più punti di riferimento sociali, i ragazzi crescono immersi in una ambigua solitudine tecnologica in cui i rapporti umani diventano sfuggenti e impalpabili oppure hanno dinamiche da supermercato. Questa mancanza di punti di riferimento e questa solitudine imposta hanno come conseguenza un attaccamento eccessivo, a volte morboso, per la persona con cui si sceglie di formare una coppia. Quella persona diventa un punto di riferimento assoluto in un mondo sempre più vuoto e distante. Va a coprire uno spettro sentimentale che un tempo era occupato dalla vita sociale, dai riferimenti che in vari campi chi ha qualche capello bianco aveva in abbondanza. Quindi perdere quella persona significa, per alcuni, perdere tutta la propria dimensione sociale e affettiva. (continua dopo la foto)

“Fatevi un esame di coscienza – ha detto Elena Cecchettin – e realizzate questa cosa, e poi imparate da questo episodio e iniziate a controllare, a richiamare anche gli altri vostri amici, perché da voi deve partire questo”. Forse è questo il passaggio più interessante del suo discorso. Anche se non siamo d’accordo con le generalizzazioni, né con chi cavalca un episodio di cronaca per creare ulteriori divisioni e per trasformare una tragedia in una battaglia ideologica, possiamo esserlo sulla necessità di una riflessione. Sulla volontà di tutti di creare un argine alla violenza per evitare altri lutti e altri dolori. Unendo le forze, uomini e donne, e non creando inutili contrapposizioni. Che fanno solo il gioco di chi ci vorrebbe ancora più soli e smarriti.

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