È in nome del Green che ora si fanno sfaceli. Per i comuni mortali. E milioni di affari. Per i soliti. Adesso tutto è “verde” (anche il pass sanitario lo era, ricordate?): dal cibo all’energia, tutto deve essere green. Ma quello che appare sempre più evidente è che siamo solo di fronte all’ennesima gigantesca bolla economica. Sono infatti almeno 125 i miliardi di dollari che stanno ballando sul mercato dei fondi Esg, gli investimenti sostenibili. Ovvero il settore più vivace degli ultimi 5 anni. E questo fa accendere più di una spia sul cruscotto. Come spiega Fabrizio Goria su La Stampa, “l’illusione di investire in sviluppo sostenibile è durata per un lustro. Ma il giro di vite di Bruxelles ora si fa sentire. Scelta doverosa, quella della Commissione Ue, che ha deciso di andare contro il cosiddetto “green washing”, cioè la pratica di maquillage di fondi venduti come green ma poi non erano tali“. Un altro scandalo europeo a tinte verdi, insomma. Ma intanto già molti operatori si sono mossi… (Continua a leggere dopo la foto)
Pochi giorni fa alcuni colossi come Bnp e Dws, la branca d’investimento di Deutsche Bank, hanno declassato quasi tutti i propri fondi “Article 9”, ossa la categorizzazione relativa alla più alta designazione Esg presente in Europa. Da BlackRock a Pimco, passando per i gestori italiani come Anima o AcomeA, le decisioni della Commissione Ue non sono state accolte con gioia. Per forza. “È decisamente tutto troppo complicato, hanno creato un’architettura regolatoria che non tiene conto dello sviluppo del mercato, né delle sue esigenze”, fa notare alla Stampa una fonte di Amundi, uno dei colossi del segmento Esg a livello globale. La società di ricerca e certificazione green Morningstar ha stimato che centinaia di fondi potrebbero dover essere declassati prima che la situazione si plachi. Ed ecco la bolla. (Continua a leggere dopo la foto)
Questo perché i dettami dell’Ue secondo cui i fondi “Article9” devono detenere investimenti sostenibili al 100%, ad eccezione dei requisiti di copertura e liquidità, hanno spianato la maggior parte degli operatori. A oggi, meno del 5% dei fondi categorizzati come “Article 9” soddisfa il requisito di sostenibilità al 100% domandato dall’Ue. Ma non è tutto. Perché non va di certo meglio se si guardano gli “Article 8”, fondi con caratteristiche meno stringenti rispetto agli altri. Secondo l’Fsma e Morningstar solo il 18% dei fondi così classificati possono definirsi “sostenibili’ in modo effettivo”. Quindi ora la paura dei gestori è che possano ritrovarsi da un giorno all’altro con fondi declassati. La paura la si capisce guardando al valore del mercato degli “Article 8. Cifre da capogiro: circa 4.000 miliardi di dollari di patrimonio amministrato. Per questo sono concreti i rischi di un’ondata di down-grade. (Continua a leggere dopo la foto)
Un problema ulteriore, spiega infine a La Stampa, è che molte società finanziarie sono carenti nella comunicazione verso la clientela. Mancano coerenza e trasparenza nell’approccio agli investimenti sostenibili e ambientali per evitare che vengano venduti (e quindi acquistati) prodotti di investimento greenwashed. La conslusione? La sintetizza bene Goria: “Da un lato gli investitori istituzionali, che chiedono il mantenimento dello status quo. Dall’altro l’Ue, che domanda più limpidezza nel processo di categorizzazione per evitare squilibri. In mezzo i risparmiatori, sempre più confusi”. E fregati.
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