Prima chiamato a dirigere il Dap, il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Poi però scartato perché la sua nomina avrebbe dato fastidio ad alcuni boss mafiosi, che non lo volevano in quella posizione. Parole fortissime quelle pronunciate dal magistrato Nino Di Matteo, ora consigliere al Consiglio Superiore della Magistratura, nel corso della trasmissione Non è L’Arena di Massimo Giletti. Una ricostruzione che, fosse confermata, sarebbe un vero e proprio terremoto. E chiamerebbe in causa inevitabilmente il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, quello che avrebbe chiamato Di Matteo “per chiedere se ero disponibile ad accettare il ruolo di capo Dap o, in alternativa, quello di direttore generale degli affari penali. Chiesi 48 ore di tempo per dare una risposta”.
Un lasso di tempo durante il quale, però, le cose sarebbero cambiate, e parecchio: “Quando ritornai, avendo deciso di accettare la nomina a capo del Dap, il ministro mi disse che ci aveva ripensato e nel frattempo avevano pensato di nominare Basentini” è la ricostruzione di Di Matteo. Che ha parlato però anche di intercettazioni telefoniche nelle quali alcuni boss detenuti in regime di 41 bis avrebbero mostrato tutta la loro preoccupazione per la scelta del magistrato, con frasi come: “Se nominano Di Matteo è la fine”. Che siano state proprio le posizioni assunte da quei mafiosi a spingere per un dietrofront?
Di Matteo non lo ha detto chiaro e tondo, lasciando però intendere che l’ipotesi non sarebbe nemmeno da scartare a priori: “Io mi limito a riportare un fatto” è stata la lapidaria frase con cui il magistrato ha risposto a Giletti, che insisteva sul presunto legame tra le intercettazioni e la nomina sfumata all’improvviso, quanto tutto sembrava ormai fatto. A seguire c’è stata la replica del diretto interessato, il ministro Bonafede, che ha spiegato: “Sono esterrefatto nell’apprendere che viene data un’informazione che può essere grave per i cittadini, nella misura in cui si lascia trapelare un fatto sbagliato, cioè che la mia scelta di proporre a Di Matteo il ruolo importante all’interno del Ministero sia stata una scelta rispetto alla quale sarei andato indietro perché avevo saputo di intercettazioni”.
Bonafede ha spiegato di aver parlato con Di Matteo “della possibilità di fargli ricoprire uno dei due ruoli, gli dissi che per me era più importante quello di direttore degli affari penali, più di frontiera nella lotta alla mafia ed era stato il ruolo ricoperto da Giovani Falcone. Alla fine dell’incontro mi pare che fossimo d’accordo, tanto che il giorno dopo lui mi chiese un colloquio e mi spiegò che non poteva accettare perché voleva ricoprire il ruolo di capo del Dap”. A capo del Dipartimento era a quel punto finito Francesco Basentini, dimessosi di recente dopo le polemiche sulle rivolte nelle carceri e la scarcerazioni, durante l’emergenza coronavirus, di alcuni boss, tra i quali Pasquale Zagaria. Al suo posto ora siede il procuratore generale di Reggio Calabria Dino Petralia.
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