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Il Comitato tecnico scientifico “dà i numeri”: uno studio rivela che i loro calcoli sono sbagliati

Pubblicato il 30/04/2020 17:55

Una Holding di nome Carisma ha fatto delle obiezioni al metodo di calcolo del Comitato Tecnico Scientifico che ha indirizzato la fase 2, ossia il metodo che ha partorito la ormai tristemente nota ipotesi del rischio di oltre 151mila pazienti in terapia intensiva nel caso di una ripartenza totale. E così, sulla base di quei calcoli, il premier avrebbe deciso per una Fase 2 “rallentata”, quella che sta costringendo ancora milioni di italiani agli arresti domiciliari a le imprese ad affrontare una crisi mai vista prima. Ma torniamo ai calcoli. Il paper di 21 pagine titolato “Valutazione di politiche di riapertura utilizzando contatti sociali e rischio di esposizione professionale”, divide gli esperti di numeri e statistiche. Nel testo si sostiene che con la riapertura di manifattura, edilizia, commercio, ristorazione e alberghi, con le scuole chiuse e senza telelavoro, si potrebbe arrivare l’8 giugno a 151.231 ricoverati in terapia intensiva, con un picco di 430.866 casi a fine anno.

Dati che, secondo molti sarebbero più che sovrastimati. Come riporta Linkiesta, che ha pubblicato il documento prodotto da Carisma, “considerando che dal 24 febbraio, quando sono iniziate le rilevazioni della Protezione civile, al 29 aprile, i casi di terapia intensiva sono stati in media poco più di 2.200, con il picco massimo di 4.068 casi del 3 aprile, il dato del Comitato tecnico scientifico è oltre 37 volte di più. E infine c’è la contestualizzazione dei calcoli: nel documento non si spiega mai come si arriva alle stime finali, uniformando previsioni fatte per la Lombardia all’intero Paese e – commentano i più critici – tenendo inoltre poco in considerazione l’impatto delle attuali dotazioni di protezione individuali sull’evolversi del virus”.

La holding Carisma, presieduta da Giovanni Cagnoli, ritiene che il problema del documento è di tipo statistico. Come analizza Linkiesta “quello che sappiamo è che il Covid 19 ha un’incubazione media di circa 5-7 giorni e che dalla manifestazione dei sintomi all’ingresso in terapia intensiva passano in media dieci giorni. Nel testo del Comitato, si ipotizza un tasso di letalità dei contagi (Ifr) pari allo 0,657%, arrivando poi a calcolare la probabilità per età che ogni infezione necessiti di terapia intensiva. Quindi, calcolando il numero di decessi ufficiali (8.311) in Lombardia al momento del picco della terapia intensiva, il 3 aprile, si arriverebbe a 1.385.000 contagiati. Poiché i casi di terapia intensiva in Lombardia al momento del picco sono stati 1.381, si desume quindi che l’incidenza tra casi di terapia intensiva e infezione sarebbe mediamente dello 0,1%. Si presuppone quindi un’incidenza per fascia di età che, anche se stimata a zero fino a 60 anni di età, arriverebbe a circa 0,3% mediamente oltre i 60 anni di età, scrivono gli analisti di Carisma”.

L’imprecisione emergerebbe però quando il testo del Comitato stima che questa incidenza oscilla tra 1% e 6% (mediamente 3,5%), con un errore di almeno dieci volte. “Tramite il calcolo di queste incidenze sull’intero territorio, sottolinea la ricerca, si arriverebbe a una stima della popolazione italiana di 260 milioni di abitanti. Duecento milioni in più della reale popolazione italiana”. Dove sarebbero quindi gli errori del Comitato tecnico scientifico? “Non essendo un testo scientifico, certamente nel documento del Comitato mancano dettagli rilevanti che andrebbero considerati, ma evidentemente ci sono assunzioni incompatibili”, spiega a Linkiesta Alessio Farcomeni, esperto di statistica epidemiologica e professore ordinario all’Università Tor Vergata di Roma. «I tassi di mancata diagnosi e i rischi di ricovero sono in contraddizione”.

Secondo il professore, il calcolo che ha portato il Comitato tecnico scientifico al rischio di 151mila pazienti nel caso di una riapertura totale potrebbe essere quindi frutto di un errore nella lettura delle percentuale del tasso di letalità dei contagi ipotizzata, pari allo 0,657%. Questo numero, inserito nel codice insieme alle altre variabili da considerare, a guardare il risultato potrebbe essere stato moltiplicato per dieci arrivando al 6,57% e alterando così il risultato finale. Ma, spiega il professore di Tor Vergata, “quello che mi lascia basito è che, nonostante il Comitato abbia a disposizione i dati individuali dei contagiati italiani registrati dall’Istituto superiore di sanità, faccia microsimulazioni basate sulla letteratura anziché stime dirette e più attendibili del numero di soggetti non diagnosticati, del network di contagio eccetera”.

Ora ci spieghiamo perché anche Conte nella conferenza stampa di annuncio della fase 2 “rallentata” sia stato molto vago sui dati, sui numeri e soprattutto sui metodi di calcolo. Intanto il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Silvio Brusaferro, ha difeso il documento e i calcoli: “Qualcuno ha detto che abbiamo sbagliato i calcoli, ma sono giusti – ha spiegato Stefano Merler della Fondazione Kessler, che ha collaborato all’elaborazione dei dati – Chi ha criticato ha fatto un calcolo sul rapporto terapie intensive/infezioni, ma si dimenticano dei decessi per Covid che non sono entrati in terapia intensiva. Il conto giusto è 3-400 in terapia intensiva in quel periodo più i decessi, uguale 13.000, non 1.300 come ha calcolato chi critica lo studio. E sappiamo inoltre che i positivi reali rispetto a quelli noti sono 10-20 volte tanto”. Bah!

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