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“Ponte Morandi? Lavori mai fatti: Autostrade voleva farli pagare al ministero”

Pubblicato il 08/09/2020 15:29

Un ingegnere legato ad Autostrade, interrogato venerdì scorso dal pm Walter Cotugno (titolare insieme al suo collega Massimo Terrile dell’inchiesta madre, quella sul crollo del Morandi), ha confessato che Autostrade per l’Italia e la capogruppo Atlantia sapevano del “pericolo di crollo”, conoscevano quel documento di “programmazione del rischio”, stilato dall’apposito ufficio, relativo alle condizioni del ponte Morandi prima del disastro. “Era un rischio teorico e nessuno di noi immaginava che crollasse – ha dichiarato il testimone – . Pensavamo di potere dare avvio al progetto di retrofitting in tempo”. L’interrogatorio -riferisce Repubblica – è stato tenuto nascosto, all’interno della caserma Testero della Guardia di Finanza a Sampierdarena.

Sostanzialmente i vertici avevano “scommesso” sul progetto di retrofitting, presentandolo come un intervento di manutenzione straordinaria, un difetto strutturale e di progettazione. Perché? Così i costi sarebbero andati a carico del ministero delle Infrastrutture e non della concessionaria Autostrade. “C’era il progetto di retrofitting – ha dichiarato l’ultimo interrogato come persona informata sui fatti – avevamo puntato su quello”. Ma è solo dalla fine del 2014 che si inizia a pensare all’intervento da 20 milioni di euro.

Si legge nell’articolo di Giuseppe Filetto: “Non soltanto quindi Giuliano Mari, attuale presidente di Autostrade, ma anche gli altri dirigenti della società sarebbero stati a conoscenza di quel documento. Tutti i testimoni sentiti finora sull’argomento avrebbero ammesso che tra il 2014 e il 2016 l’attestato stilato dall’apposito ufficio di Aspi – in cui si parlava di “rischio crollo” per il viadotto sul Polcevera – sarebbe stato trasmesso alle varie società del Gruppo Atlantia. Secondo quanto trapela, gli interrogatori sono serviti a cristallizzare un punto fermo sulla conoscenza del ‘rischio crollo'”.

I vertici di Aspi e di Atlantia, pur a conoscenza del pericolo, avrebbero puntato a far rientrare i costi nel piano finanziario del ministero. E non sulla manutenzione ordinaria pagata con i pedaggi. “Non è un ragionamento folle – spiega a Repubblica un ingegnere del Mit che per 13 anni si è occupato di autostrade, ma che per ovvie ragioni preferisce l’anonimato – non c’è obbligo da parte del concessionario di intervenire qualora si tratti di difetti strutturali. Non si può affermare che l’ammaloramento dei tiranti sia colpa di Autostrade. Certo – precisa l’ingegnere – diventa un ragionamento insano davanti ad una situazione di pericolo”. Poi la strage. Con 43 morti.

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