In Italia ci sono 7.488 chilometri di autostrade che appartengono allo Stato (e quindi a noi cittadini, che le abbiamo già pagate!). Lo Stato concede in gestione a società private 5.887 chilometri, mentre i restanti 954 chilometri sono gestiti da Anas S.p.A., società storica di eccellenza e know-how, controllata dal ministero del Tesoro. Attualmente lo Stato ha 25 rapporti di concessione che prevedono il pagamento di un pedaggio con 24 società diverse.
Il vero business è proprio di queste società, che applicano un’equazione semplicissima: poche spese e pochi investimenti uguale molti utili. Ma a chi conviene e chi ci guadagna da questa situazione? Facile immaginarlo. Sono forse quelli che continuano a dirci che sarebbe una follia dare agli italiani l’intera rete autostradale senza pedaggi o con un canone fisso mensile come in altri Paesi europei? Vedete voi.
Se guardiamo i numeri – e quelli non mentono mai – appare in realtà evidente il contrario: se infatti si togliessero le concessioni a tutte le società che gestiscono la rete autostradale, non ci guadagnerebbero solo i cittadini, ma anche lo Stato stesso. Possibile? Certo. Vediamo come, e procediamo con ordine, perché il ragionamento merita molta attenzione.
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La concessione di un tratto autostradale a società private comporta una serie di obblighi, specificati nel contratto di concessione. Questi obblighi prevedono, su tutti, gli investimenti, la manutenzione, la costruzione di eventuali nuovi tratti e la riscossione dei pedaggi. E quest’ultima è ovviamente la fetta di torta che fa più gola alle società. Già, perché parlando solo di pedaggi – per dirne una – nel 2017, secondo i dati della relazione della Corte dei Conti 2019 – le aziende hanno incassato circa 6,5 miliardi di euro di cui oltre 560 milioni da concessione sulle aree di servizio. E di questo bel gruzzoletto quanto è finito nelle casse dello Stato? Al netto dell’Iva, lo Stato ha incassato 862 milioni dalle autostrade. E il resto del malloppo? È rimasto alle concessionarie, ovvio. Direte voi: ma non tutto è guadagno, dovranno pur reinvestire e spendere per la manutenzione e gli stipendi del personale? Certo. Ma qui veniamo alle note più dolenti.
Quello che le società restituiscono allo Stato (e quindi a noi) è nulla rispetto a quello che intascano. Restiamo sui dai del 2017. Dei quasi 6,5 miliardi di euro incassati, sono stati spesi 959 milioni per gli investimenti, 961 milioni per il personale (la gran parte del costo è per la gestione ed il pagamento dei pedaggi) e – ahinoi – solo 732 milioni per la manutenzione (e purtroppo si vede). E a sottolineare questo ultimo aspetto, per altro, non ci sono solo i freddi numeri, ma anche le loro tragiche conseguenze: su tutte la strage bus sul viadotto della A16 ad Avellino (40 vittime) e il crollo del Ponte Morandi a Genova (43 morti). Il totale delle uscite, dunque, fa 2 miliardi e 652 milioni di euro a fronte di 6,5 miliardi incassati. E il resto? È quasi tutto guadagno. A quale conclusione possiamo giungere, dunque? Che se lo Stato gestisse direttamente con la propria società di eccellenza (ANAS) le autostrade in concessione spenderemmo circa 2,2 miliardi di euro.
Più in dettaglio 959 milioni per gli investimenti più 961 milioni, a cui bisognerebbe aggiungere un costo di personale stimabile, in assenza di caselli autostradali, in 300 milioni di euro. Dai quali, a rigore, andrebbero detratti oltre 560 milioni provenienti da concessione sulle aree di servizio. Questa cifra potrebbe essere coperta utilizzando la fiscalità generale con un aggravio di spesa simile a quello che il governo ha sostenuto per salvare la Popolare di Bari. O attraverso un BOLLINO di circa 50 euro a veicolo per anno, cifra che si ottiene suddividendo il costo fra il totale dei veicoli che transitano sulle autostrade ogni anno. Ma a prescindere dalle modalità di copertura dei costi, è decisamente assurdo far pagare agli italiani 6,5 miliardi di euro in pedaggi per fargliene “risparmiare” 2,2.
Far tornare le autostrade in completa gestione dello Stato favorirebbe cittadini, Stato e viabilità, e interromperebbe gli immorali guadagni dei concessionari. Ma vediamo quanto vale questa torta in modo da capire meglio il perché una soluzione così ovvia e ragionevole non venga messa in pratica. Tra tutte le concessionarie, ovviamente, spicca quella di Atlantia, un caso che fa scuola. Come scrive anche Barbara Massaro su Panorama, tra il 2008 e il 2016 le concessionarie hanno investito 15 miliardi contro i 21,7 che erano stati promessi nei piani finanziari. L’Ansa ha ripreso i dati di bilancio 2013-2017 di Atlantia: in cinque anni l’azienda ha messo via 4,05 miliardi di utili, distribuendone il 93% (3,75 miliardi) agli azionisti. Alla faccia dello Stato e dei cittadini che ogni giorno pagano al casello per poi vedersi crollare viadotti e gallerie.
Nello stesso arco di tempo, ricorda sempre l’Ansa, Atlantia ha speso per la manutenzione della rete autostradale solo 2,1 miliardi. Se ai 3,75 miliardi di utili distribuiti si sommano gli 1,1 miliardi di euro di riserve che la società ha trasferito ai soci, l’incasso per i proprietari sale a 4,8 miliardi di euro in cinque anni. Più del doppio di quanto investito in manutenzione delle autostrade nello stesso periodo temporale. Cattiva manutenzione in cambio di maggiori utili. Appare evidente che se le autostrade venissero restituite agli italiani e affidate ad ANAS si avrebbe un risparmio per i cittadini di oltre 4,3 miliardi che oggi li versano sotto forma di pedaggi autostradali.
La differenza potrebbe essere coperta o con la fiscalità generale, dando a tutti gli italiani autostrade gratuite come già avviene in Germania, Inghilterra e, in parte in Francia, o attraverso una sorta di abbonamento da un minimo settimanale ad un massimo annuale pari a 50 euro, come in Svizzera. E per la gioia di tutti gli automobilisti, ricordiamo – infine – che senza caselli… Non troveremmo più code ai caselli!
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