di David Lisetti.
L’impostazione prudenziale sottoscritta nella NADEF e ratificata dal governo dimostra che non c’è la minima agibilità politica all’interno dell’eurozona per politiche espansive (specialmente per i paesi ad alto debito come l’Italia).
Laurence Boone, capo economista dell’OCSE, nella sua ultima intervista al Financial Times ha avvertito che sarebbe un grave errore economico tornare immediatamente ai bassi livelli di indebitamento e deficit pre-COVID-19.
Secondo Boone, in futuro non sarà più giustificabile politicamente il concetto di scarsità della moneta:
«Le banche centrali e i governi di tutti i paesi avanzati hanno messo in campo livelli senza precedenti di stimoli economici con l’obbiettivo di alleggerire il pesante impatto economico che il COVID-19 ha sull’economia. Dopo la crisi le persone chiederanno da dove sono arrivati tutti questi soldi, e i governi faranno fatica a rispondere a questa domanda e a giustificare un loro disimpegno economico sulle tante altre crisi che affliggono la nostra società, come ad esempio i cambiamenti climatici e i costi sociali per le fasce lasciate indietro dalla crisi del COVID-19».
Sempre la Boone precisa che «il problema nel 2008/2009 non è stato lo stimolo iniziale insufficiente ma l’aver fatto politiche di austerità nei successivi anni post-crisi».
Che dire? Se anche l’OCSE, uno dei bastioni dell’ortodossia economia, arriva a queste conclusioni significa veramente che il “mito del deficit” sta definitivamente scomparendo dalle stanze delle più influenti organizzazioni internazionali. Quella dell’OCSE, infatti, è un’inversione ad U rispetto all’approccio mainstream che permeava l’istituto fino a pochi anni fa.
Quindi c’è da sperare che da qui a poco ci ritroveremo ad affrontare un radioso futuro in cui gli Stati nazionali (su indicazione delle organizzazioni internazionali) saranno indaffarati nel produrre e finanziarie radicali interventi di tutela dell’ambiente, lotta alla povertà, lotta alla disoccupazione e taglio delle tasse?
Nutro più di un dubbio su questo epilogo, a dire il vero penso che ciò sarà impossibile per i paesi del sud Europa nella cornice istituzionale vigente.
Prima di tutto dobbiamo fare i conti con la totale incapacità dalla nostra élite politica di uscire dal “vincolo monetario”, vincolo che li rende cognitivamente incapaci di immaginare piani di investimento quinquennali da minimo un trilione di euro, ma anche valutando questa mia posizione come viziata da pregiudizi rispetto alla qualità dei nostri leader, il risultato non sarebbe migliore perché i nostri politici troverebbero sì nell’OCSE un valido alleato ma allo stesso tempo i buoni propositi dovrebbero fare i conti con un’insuperabile divieto di spesa da parte della Commissione europea e del Consiglio europeo.
Il motivo è presto detto: fondamentalmente i trattati europei non sono statutariamente conformi con le indicazioni di politica economica dell’OCSE, i trattati impediscono spese discrezionali che superino i limiti sul deficit strutturale, inoltre gli stessi richiedono un rientro da condizioni di debito eccessivo. Ne consegue che l’Italia dovrà presto rientrare all’interno dei parametri europei.
Questo tema in realtà già inizia ad essere affrontato nelle cancellerie di mezza Europa e sembra che l’orientamento sia quello di rimanere fedeli ai principi fondanti del processo di integrazione comunitaria. A tal proposito basta leggere la Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza –presentata pubblicamente da Presidente del Consiglio Giuseppe Conte e dal ministro Gualtieri e deliberata dal Consiglio dei Ministri il 5 ottobre – per rendersi conto che il governo italiano si è già incamminato su un sentiero di basso indebitamento e di surplus di bilancio.
Di seguito un estratto significativo: «Nel biennio successivo l’intonazione espansiva della politica di bilancio si attenuerà̀ gradualmente fino a raggiungere un avanzo primario di 0,1 punti percentuali e un indebitamento netto in rapporto al PIL del tre per cento. Nel 2022 verrà̀ quindi recuperato il livello del PIL registrato nell’anno precedente la pandemia. Nell’arco del prossimo triennio il rapporto debito pubblico/PIL sarà̀ collocato su un sentiero significativamente e credibilmente discendente».
L’ultima frase fa venire i brividi: «Nell’arco del prossimo triennio il rapporto debito pubblico/PIL sarà̀ collocato su un sentiero significativamente e credibilmente discendente».
Quanto affermato è totalmente ed inequivocabilmente l’opposto di quanto indicato dalla capo economista dell’OCSE. L’impostazione prudenziale sottoscritta nella NADEF e ratificata dal governo dimostra che non c’è la minima agibilità politica all’interno dell’eurozona per politiche espansive (specialmente per i paesi ad alto debito come l’Italia).
I risultati di tali rigidità fiscali saranno un macigno generazionale che comporterà disoccupazione, aumento della povertà, malnutrizione, privatizzazioni e deflazione del marcato interno (il che comporterà acquisizioni a prezzo di saldo dei nostri asset nazionali), l’Italia per colpa diretta di questa impostazione autoritaria e miope sarà un paese in totale declino e senza possibilità di avanzamento sociale e culturale, saremo un paese impossibilitato a progredire, in tutto e per tutto una civiltà decadente e senza prosperità.
La cosa che dovrebbe far indignare l’opinione pubblica è che tale sacrificio sociale è solo il frutto di scelte giuridiche, non di leggi naturali: nessuna legge naturale sta impedendo al governo italiano di spendere quanto necessario per garantire un futuro dignitoso a propri cittadini, evitandogli inutile sofferenze.
A tal proposito il professore Bill Mitchell, esponente della teoria monetaria moderna, ci ricorda che «uno Stato può emettere la valuta e spenderla; questo può avvenire senza ricorrere alla fiscalità generale (tassazione dei cittadini) e senza necessariamente indebitarsi con soggetti istituzionali “terzi”; ne consegue che un governo con sovranità sulla propria valuta non ha tecnicamente l’obbligo di legare la propria spesa alle tasse che impone ai propri cittadini e può permettersi di registrare deficit pubblici senza rischiare l’insolvenza. Le nazioni dell’euro sono l’eccezione. Hanno ceduto la sovranità sulla propria valuta e devono dunque prendere soldi in prestito per rinnovare il proprio debito e coprire il deficit, il che le rende dipendenti dai mercati esponendoli al rischio di default».
La prova di quanto affermato dalla teoria monetaria moderna ormai ha riscontri empirici. Banalmente, se la Banca centrale europea non avesse iniziato ad agire da banca centrale sovrana saremmo andati in default già ad aprile 2020. Ma l’intervento della BCE è, per sua stessa natura, temporanea. Cosa accadrà quando quelle misure cominceranno ad essere ritirate?
Quello che ogni cittadino ed elettore responsabile dovrebbe domandarsi ora è se vale la pena continuare ad essere rappresentati da politici che per paura di affrontare le rigidità europee consegnano i propri cittadini ad un inesorabile declino.