Dettagli assurdi, ai limiti dell’inverosimile, quelli che stanno emergendo nel corso del processo intrapreso dall’India nei confronti di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i due marò protagonisti per mesi delle cronache internazionali. Dalle carte depositate al Tribunale Internazionale per il Diritto del Mare di Ambuergo da parte dei legali indiani, ecco infatti fare capolino elementi come testimonianze fotocopia da parte di presunti testimoni, che avrebbero rilasciato sostanzialmente la stessa identica dichiarazione, ma soprattutto un allegato che riporta l’autopsia svolta sul corpo dei due pescatori uccisi e dalla quel è possibile stabilire che non furono i fucilieri italiani ad aprire il fuoco.
Le testimonianze, innanzitutto. In un articolo a firma di Lorenzo Bianchi, il Quotidiano Nazionale riassume le deposizioni di chi avrebbe assistito alla scena. Resoconti che si assomigliano in maniera quasi sovrapponibile, con i “sailors”, i marinai, accusati del duplice omicidio. A parlare erano stati il comandante del peschereccio, Freddy Bosco e il marinaio Kenserian, secondo i quali la loro imbarcazione era finita sotto “il fuoco non provocato e improvviso dei marinai Massimiliano Latorre e Salvatore Girone della Enrica Lexi”. Nel verbale, innanzitutto, entrambi hanno scritto erroneamente “Lexie”, un errore insolitamente identico. Così come identiche sono espressioni utilizzate come “tragica morte”, “indicibile miseria”, “perdita di introiti”. Tutto perfettamente uguale.
E poi c’è il proiettile: nell’autopsia che l’anatomo patologo K. S. Sasika aveva svolto sui due pescatori uccisi si legge, infatti, che il proiettile estratto dal cervello di Jalestine sarebbe troppo grande per essere uscito dalle armi dei fucilieri di marina. Quello misurato dal medico aveva un’ogiva di 31 millimetri, una circonferenza di 20 millimetri alla base e di 24 nella zona più larga. Le munizioni in dotazione ai Marò, invece, sono dei calibro 5 e 56 Nato. Il proiettile estratto dalla testa del pescatore, dunque, non poteva appartenere ai mitra Minimi e Beretta Ar 70/90 in dotazione a Latorre e Girone.
Non bastasse, dalle carte sembrerebbe emergere anche come il gps del Saint Antony, l’imbarcazione a bordo della quale hanno trovato la morte i pescatori, sarebbe stato fatto recapitare dal capitano dell’imbarcazione non il giorno in cui attraccò al porto, ma solo 8 giorni dopo. Conservando tutto il tempo necessario a manometterne i dati. Una serie di misteri che, sommati, danno l’idea di un processo tutt’altro che equo. E anzi, finiscono per farlo assomigliare molto più a una presa in giro che, si spera, non vada fino in fondo.
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