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Un pugno di mosche! Recovery Fund, l’accordo di Conte e quello che ‘giornaloni’ e TG non vi diranno

Pubblicato il 21/07/2020 09:32 - Aggiornato il 21/07/2020 09:36

“Un giorno storico per l’Italia e per l’Europa”, annuncia Conte, gaio e felice per l’accordo appena firmato. Ma il premier non sta che recitando una parte, perché la realtà è un’altra. E, al contrario di quello che dicono tv e giornali di sistema, l’intesa sul Recovery Fund è una fregatura pazzesca. Cosa che noi diciamo da tempo e che avevamo previsto con largo anticipo. Da questa Europa, e da questo governo, non può venire nulla di buono. Ma vediamo nel dettaglio come l’Ue si papperà l’Italia in un sol boccone grazie alla firma del nostro presidente del Consiglio. L’estrema sintesi è questa: i soldi arriveranno in 6 anni (e non subito, ma a partire dal 2021); degli 81 miliardi ne verseremo 55 noi ma ci diranno loro come spendere i soldi (anche quelli che noi versiamo); la differenza di 26 miliardi la riceveremo spalmata in 6 anni (se non ci saranno veti dell’Olanda); saranno loro (l’Europa) a dirci se e come spendere questi denari. Semplice, no? Spieghiamo meglio.

Cominciamo col dire, intanto, che il grande accordo sbandierato da Conte prevede un taglio netto ai fondi per la Sanità, per la ricerca e pure a quelli per la transizione energetica. La Polonia non avrà più chiare condizioni legate agli obiettivi climatici. E il meccanismo per vincolare i fondi Ue al rispetto dei diritti umani non avrà più alcun valore, perché così ha voluto Orban. Detto questo, andiamo alla sostanza dei numeri: saranno 750 miliardi di debito comune: le sovvenzioni scendono a 390 miliardi (erano 500 all’inizio: ricordate quando Conte esultava per questi numeri?) e i prestiti salgono a quota 360. Per l’Italia cresce nettamente – e ti pareva! – la quota di prestiti a disposizione: da 91 a 127 miliardi secondo le stime. E gli 81,4 miliardi di sovvenzioni, teoricamente, inizieranno ad arrivare a partire dalla primavera 2021. Con calma, non c’è fretta.

Ma non è che questi soldi siano poi così assicurati… I pagamenti delle diverse “tranche” dei fondi Ue saranno infatti approvati in base alla valutazione positiva del conseguimento soddisfacente delle tappe di realizzazione degli impegni di spesa e della pertinenza degli obiettivi. Sull’iter di approvazione dei piani nazionali, infatti, alla fine ha vinto il frugale Rutte, che ha incassato il cosiddetto “freno di emergenza”. Che vuol dire? Che Bruxelles ci imporrà delle riforme e una tabella di marcia. Se l’italia non le rispetterà, un Paese a caso dell’Unione, che magari ha qualche interesse in particolare a far schiattare la nostra economia, potrà alzare la manina e congelare l’erogazione dei fondi. Un solo Paese – ripetiamo – potrà quindi tirare il freno e bloccare per tre mesi i pagamenti. Una follia.

Una follia, molto lucida, certo. Risultato del pressing dei Paesi frugali. Austria, Paesi Bassi, Svezia e Danimarca cantano infatti vittoria. Anche perché loro quattro si portano a casa ulteriori sconti nella loro quota di versamenti al bilancio Ue. La progressione vede la Danimarca passare da uno sconto del suo contributo al bilancio di 197 milioni all’anno nel primo “box negoziale”, a 222 milioni nel “non paper”, a 322 nell’ultima proposta; per l’Austria, le cifre sono rispettivamente 237, 287 e 565 milioni; per la Svezia 798 milioni, 823 milioni e 1,069 miliardi; l’Olanda è passata da 1,576 miliardi, cifra restata invariata nel “non paper”, a 1,921 miliardi nell’ultima proposta.

La natura di questo Recovery Fund è dunque che cambia notevolmente la proporzione fra sovvenzioni a fondo perduto (“grants”), che ammontano a 390 miliardi di euro, e prestiti diretti agli Stati (“loans”), pari a 360 miliardi. Il rapporto diventa quasi paritario (52 a 48). Nella proposte della Commissione e nella precedente bozza negoziale di Michel, invece, il rapporto era 2 a 1 a favore dei “grants” (500 mld) rispetto ai “loans” (250 mld). E sapete su cosa si taglia? Sui diversi programmi: i fondi di coesione di “React EU” passano da 50 a 47,5 miliardi; i fondi per la ricerca e sviluppo di “Horizon Europe” diminuiscono notevolmente da 13,5 a 5 miliardi; i finanziamenti per le imprese di “Invest EU” sono quasi azzerati, da 30,3 a soli 2,1 miliardi; viene azzerato del tutto il “Solvency Support Instrument” per il quale era prevista inizialmente una dotazione da 26 miliardi, e che doveva servire a sostenere la ricapitalizzazione e la solvibilità delle imprese sane colpite dalla crisi del Covid-19.

E non è finita. Come riporta anche Askanews, “vengono dimezzati i fondi dello ‘Sviluppo rurale’, passando da 15 a 7,5 miliardi; viene ridotto di due terzi, da 30 a 10 miliardi, il “Just Transition Fund”, che era stato molto celebrato come strumento per sostenere una “giusta” transizione energetica nelle aree più dipendenti dalle fonti fossili (fra cui, in Italia, Taranto e il Sulcis); subisce una lieve diminuzione, da 2 a 1,9 miliardi il programma “RescEU” per il soccorso alle aree compite da calamità naturali e sanitarie; infine vengono tagliati drasticamente i fondi Ndici per sostenere l’azione esterna, il vicinato e gli aiuti umanitari, da 15,5 a 3,5 miliardi di euro.

Persino Federico Fubini, sul Corriere, evidenzia un punto assurdo di questo Recovery Fund: “Le condizioni finanziarie sono simili, ma quelle politiche diverse: il Mes, che l’Italia per ora sta rifiutando, non richiede riforme; il Recovery Fund, che il governo non può rifiutare, ne prevede invece di molto precise. E vigilate da vicino”. C’è da esultare, certo! Bravo Conte, hai firmato un accordo meraviglioso. Un accordo che salverà la tua faccia, grazie anche alla stampa compiacente che non dirà tutta la verità, e che condannerà gli italiani alla fame e alla miseria. Con questo Recovery Fund l’Italia ha ipotecato il futuro delle prossime generazioni. Ora più che mai è importante spingere per la sola battaglia vera da vincere: l’Italexit.

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