Sarà un autunno da incubo su tutti i fronti, con i partiti in campagna elettorale all’assalto della finanziaria e la cassa completamente vuota, mentre i primi freddi potrebbero far esplodere la crisi energetica. Sarebbe questo lo scenario che avrebbe spinto Mario Draghi dare le sue dimissioni anzitempo. Che l’ex premier volesse assolutamente evitare di trovarsi in mezzo alla bufera del dopo vacanze, è stato un pensiero che, nelle scorse settimane, è venuto a molti. Ieri Dagospia ha rivelato un colloquio che si sarebbe tenuto dopo l’ultimo Consiglio dei ministri, in cui l’ex Bce avrebbe detto a Bruno Tabacci di aver staccato la spina proprio per evitare i “botti” legati legge di bilancio. Un impegno a cui a quel punto non avrebbe più potuto sottrarsi senza lasciare il Paese alla deriva, con la prospettiva dell’esercizio provvisorio.
Benché la chiacchierata sia stata prontamente smentita dai diretti interessati, a confermare la tesi di un autunno nefasto ci sono, comunque, anche altri fattori. Come riporta Libero nell’edizione odierna, la situazione dei conti pubblici, ad esempio, è sotto gli occhi di tutti. Con l’ultimo decreto aiuti prima del voto, peraltro portato dai 13 miliardi iniziali fino a quota 17 miliardi, è stato raschiato il fondo del barile. Sono state utilizzate tutte le risorse di bilancio messe a disposizione da un andamento dei conti pubblici migliore delle attese. Qualsiasi mossa futura dovrà essere finanziata intervenendo sui saldi concordati con la Ue, che è da mesi con i fucili puntati e non esiterà a riaprire il fuoco non appena gliene daremo il pretesto. Ma non è tutto, perché a complicare ulteriormente le cose ci sono anche alcuni “buchi” senza copertura lasciati proprio da Mario Draghi.
Non si parla di bruscolini, ma di circa 15 miliardi che rischiano di essere scaricati sul groppone del nuovo governo. I primi 10 sono quelli relativi alla tassazione straordinaria sugli extraprofitti delle società energetiche. Un mancato incasso che ha fatto infuriare Draghi, sebbene lo stesso ex premier sapeva le insistenze dell’ala sinistra della maggioranza, lo avrebbero portato su un terreno scivoloso. Il premier dimissionario ha promesso che userà il pugno di ferro (controlli fiscali e recuperi coatti delle somme) con le aziende che non si piegheranno, ma sul balzello pesano dubbi di costituzionalità più che concreti che potrebbero comunque mettere a rischio il gettito previsto.
Un altro buco, anche più pericoloso e di cui si è parlato pochissimo, è quello dei 4 miliardi “prestati” al Gse per riempire gli stoccaggi di gas in vista dell’inverno. La notizia è passata in sordina, ma dietro al riempimento dei depositi ci sono acquisti di ultima istanza effettuati dall’ente pubblico, che si è messo a caccia di metano pagando prezzi anche superiori a quelli già altissimi dettati dal mercato. Una strada per certi versi obbligata, ma assai costosa. Ebbene, il grosso problema è che i soldi non hanno alcuna copertura e il Gse li dovrà restituire. La prima e poco probabile ipotesi è che l’ente riesca a vendere il gas stoccato ad un prezzo uguale o più alto di quello di acquisto. La seconda, assai più plausibile, è che l’operazione non riesca e il Gse non abbia le risorse. A quel punto o interviene il Tesoro, con soldi che attualmente non ci sono, oppure, udite udite, verranno caricati sulle nostre bollette. Alla fine chi pagherà saranno sempre i cittadini. Grazie Mario Draghi e grazie al Governo dei Migliori.
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