Si presentano con nomi accattivanti, “dark kitchen”, sostenendo di essere la naturale quanto mirabolante evoluzione del food delivery. In realtà, dietro parole glitterate si nasconde un pericolosissimo mondo di dinamiche distorte, a tutto vantaggio delle multinazionali pronte a predare il settore della ristorazione, messo in crisi dall’emergenza Covid-19 e dalla folle gestione di un governo, quello italiano, incapace di affrontare la crisi se non chiudendo i cittadini in casa e impedendo loro di lavorare. Nella rabbia degli operatori del settore scesi in piazza in queste ore a Montecitorio, a Roma, accompagnati dalle bandiere del partito Italexit di Gianluigi Paragone, c’è anche un grido di allarme che rischia di passare inosservato. Quello di chi teme che la ristorazione del Bel Paese stia per ricevere il proverbiale colpo di grazia.
Da oltre un anno, ormai, i ristoratori italiani si trovano infatti a dover effettuare asporto e domicilio come uniche attività possibili. Costretti, anche se nessuno lo dice, a pagare abbonamenti alle multinazionali del settore, da Deliveroo a Just Eat passando per Uber Eats e via dicendo, che svolgono il servizio per loro conto. Grandi piattaforme che approfittando della terribile situazione in cui versano i locali stanno approfittando non solo per fare affari, ma anche per registrare i gusti dei clienti in modo da poterli poi rivendere ai big del settore, pronti a spazzar via quel che resta dei poveri imprenditori. In un futuro più che prossimo, visto che qualcosa si sta già muovendo all’orizzonte.
È di questi giorni, infatti, la notizia che sta per aprire a Milano una “dark kitchen”, per iniziativa di Helbiz Kitchen. Di cosa si tratta? Semplicemente di un ristorante “chiuso”, dove i clienti non possono recarsi per sedersi e mangiare come eravamo tutti abituati a fare prima dell’arrivo del Covid-19. All’interno si producono piatti che nascono grazie ai dati raccolti nel frattempo dai colossi del delivery, che in questi mesi hanno avuto modo di conoscere da vicino i gusti degli italiani consegnando loro cibo a casa. Pizza, sushi, hamburger, insalatone: tutto quello che, numeri alla mano, risulterà gradito a chi effettua solitamente ordini sarà cucinato. All’interno di locali spaziosi che, spesso e volentieri, vengono acquistati già arredati e pronti all’uso da chi, disperato, ha deciso di abbandonare il settore, stremato dalle difficoltà economiche e ignorato dallo Stato.
Le società dietro le dark kitchen sono forti, ovviamente, di contratti speciali con le multinazionali del delivery, che si occupano poi di prendere in consegna i piatti e portarli nel minor tempo possibile a casa del cliente. Sfruttando, tutti insieme, quei “big data” che sono il vero tesoro rubato nel bel mezzo della pandemia, sotto gli occhi di tutti: le preferenze degli avventori, i loro profili, i gusti. Tutto diventa dato, da inserire negli appositi algoritmi per creare i piatti perfetti, quelli più richiesti, da preparare e recapitare nel minor tempo possibile. Approfittando del totale stato di abbandono in cui versa il settore della ristorazione, al quale continuano a essere promessi aiuti economici che non arrivano mai. E che rischia ora di ricevere l’ultimo, terribile colpo, nel silenzio di tutti.
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