(Da uno studio prodotto da Mio italia) Per l’Unione europea sembrerebbe totalmente inutile difendere gli interessi dei cittadini, aiutare le imprese messe in difficoltà dalla pandemia o gestire il conflitto in Ucraina, son ben altri gli “importantissimi” campi in cui l’Unione Europea mostra i muscoli. Uno su tutti: combattere le vecchie abitudini alimentari. Con i vini e i formaggi italiani già finiti nel mirino, vittime di violente campagne mediatiche volte a screditare le eccellenze dello Stivale. E con la carne che, a sua volta, potrebbe presto finire in pensione, sostituita dalla sua versione “sintetica”.
Lo scorso 27 aprile la Commissione europea ha infatti approvato l’iniziativa “End of the Slaughter Age”, con l’obiettivo di arrivare all’abolizione dei sussidi agricoli all’industria degli allevamenti di bestiame e al loro trasferimento al settore dei prodotti “alternativi”. Una proposta che ora dovrà raccogliere firme a sostegno, e che potrebbe però presto trasformarsi in realtà. Una notizia accolta con entusiasmo da chi vede nella cosiddetta “fake meat”, carne ottenuta da proteine vegetali, un’alternativa sana ed ecologica ai consumi tradizionali. Ma dietro la quale si nascondono, come sempre, le mosse delle grandi multinazionali.
Il mercato dei sostituti della carne ha infatti generato, negli ultimi anni, degli introiti sempre crescenti. Con un fatturato complessivo arrivato a quota 4,2 miliardi di euro nel 2020 e che, stando alle previsioni, dovrebbe schizzare addirittura a 28 miliardi entro il 2025, a conferma della ricchezza del business. Le multinazionali hanno da tempo fiutato l’affare, cercando di diversificare i profitti e investendo anche nella carne prodotta in laboratorio. L’americana Tyson Food, per esempio, che commercia proteine “plant-based”. O la brasiliana Jbs, diventata azionista di maggioranza di BioTech Food, azienda spagnola di carne coltivata, e ha acquistato l’olandese Vivera, start up di carne vegetale.
Il consumatore, insomma, è convinto di acquistare alternative sostenibili ed etiche alla carne tradizionale, ma finisce a sua insaputa per sostenere il sistema agricolo industriale che le produce. Non mancano, tra l’altro, le accuse di esperti secondo i quali i cibi ultralavorati, come appunto i “burger vegetali”, sarebbero ricchi di sale, zuccheri e additivi. La soluzione, sostiene una parte del mondo della scienza, non è nei laboratori ma nelle modifiche ai classici metodi di allevamento. L’Europa, però, sembra già deciso da che parte stare, schierandosi ancora una volta dalla parte delle grandi multinazionali.
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