Gli organi di informazione hanno dato notizia della imminente fusione delle banche Ubi e Intesa Sanpaolo; ovviamente la notizia è data in base ai comunicati lusinghieri dei due istituti di credito. La vicenda, però, andrebbe valutata compiutamente, perché in realtà ci troviamo di fronte ad una forma di colonizzazione bancaria. Da tempo è in atto una manovra di aggregazione con riflessi negativi nei confronti della piccola clientela. Tutto rientra nel moderno quadro economico generale che non tiene in considerazione il ceto medio, la piccola borghesia, con il suo patrimonio di senso del lavoro, del sacrificio, del risparmio. Che ci siano trasformazioni epocali è ovvio: nel panorama bancario c’è una situazione di instabilità e di fragilità; in ogni settore ci si indirizza verso la costituzione di grandi gruppi finanziari, ma ciò non giustifica che finché ci sono spazi di mercato le piccole realtà economico-sociali non possano vivere. (Continua a leggere dopo la foto)
Questa realtà preoccupante conferma lo scadimento del ruolo dello Stato. Ben venga il mercato con le sue potenzialità, ma parimente dovrebbe risaltare lo Stato con le sue regole. La polverizzazione produttiva, se dispersiva, si rivela uno scenario negativo, ma la globalizzazione senza limiti e regole disposte dalle istituzioni governative è sempre un danno per la collettività. Nel caso della fusione Ubi-Intesa Sanpaolo, si sancisce la scomparsa di una banca del territorio cuneese, che farà cambiare le cose per la piccola clientela: è un impoverimento del territorio, che ha già perso altre banche locali. Sono operazioni finanziarie di vertice su cui si danno notizie, ma non informazioni complete. (Continua a leggere dopo la foto)
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Come è avvenuto per l’allineamento della Cassa Risparmio Cuneo, che in un primo tempo si era dichiarata contraria a fusione, e poi, vantando maggiori guadagni finanziari, si è adeguata. Come se la scomparsa di una realtà socio-economica locale fosse una questione di prezzo. La finanza bancaria purtroppo ormai da tempo ha sostituito il rapporto banca-clientela con il rapporto macchina-clientela, a tutto svantaggio dei piccoli, modesti clienti locali (vedasi anche la drastica riduzione degli sportelli bancari). Questi clienti subiscono le aggregazioni, sono costretti a rassegnarsi ad essere solo numeri e a non essere più considerati. Ciò a vantaggio della grande clientela degli affari, favorita dalla dematerializzazione del denaro, scambiato sempre di più mediante strumenti telematici. (Continua a leggere dopo la foto)
Tutto all’insegna del cambio di strategia delle banche per ridurre i costi. Ma nessuno a livello governativo reclama la funzione sociale del credito e del risparmio, e la netta separazione tra banche di credito ordinario, banche d’affari, banche di credito fondiario, che devono operare unicamente nel proprio campo, come disponeva la significativa legge bancaria del 1936.
di Lorenza Morello, presidente nazionale APM
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