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Crac Popolare di Vicenza, chiesti 10 anni di carcere per l’ex presidente Zonin

Pubblicato il 16/12/2020 15:09

Nella requisitoria del processo agli ex vertici dell’istituto di credito Banca Popolare di Vicenza, la procura vicentina, con il pm Luigi Salvadori, ha chiesto di condannare Giovanni Zonin, l’ex presidente, a una pena di 10 anni di reclusione. Il procedimento, per i reati di aggiotaggio, ostacolo all’autorità di vigilanza e falso in prospetto, riguarda l’azzeramento del valore delle azioni dell’istituto in mano a poco meno di 120mila soci. Il pm ha chiesto di condannare anche gli altri imputati e per loro ha chiesto pene di 8 anni e 6 mesi per gli ex vice dg Emanuele Giustini e Paolo Marin, di 8 anni e 2 mesi per l’ex consigliere Gianmarco Zigliotto e 8 anni per l’ex vice dg Andrea Piazzetta.

La sentenza arriverà nei primi mesi del prossimo anno. È quanto hanno indicato fonti legali. Come ricostruisce Il Sole 24 Ore, dunque, “dieci anni di reclusione per Giovanni Zonin e pene di almeno 8 anni per gli altri imputati. Queste, secondo fonti legali, le richieste della procura di Vicenza formulate durante il processo in corso agli ex vertici della Popolare di Vicenza. Il pubblico ministero Luigi Salvadori, al termine della sua requisitoria, ha chiesto di condannare Giovanni Zonin, ex presidente di Banca Popolare di Vicenza, a una pena di dieci anni di reclusione”.

Il procedimento riguarda reati di aggiotaggio, ostacolo all’autorità di vigilanza e falso in prospetto. “Si ricorda che per quanto riguarda l’aggiotaggio, agli indagati viene contestato – relativamente alla pubblicazione dei bilanci di esercizio 2012, 2013 e 2014 – di aver diffuso ‘notizie false’ e posto in essere ‘operazioni simulate e altri artifici, concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione delle azioni Bpvi’ e ‘a incidere in modo significativo sull’affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale’ della banca”.

Sotto accusa la prassi dei finanziamenti concessi ai clienti per la sottoscrizione delle azioni emesse dalla banca. “L’accusa di ostacolo all’attività di vigilanza – scrive Il Sole – si riferisce all’aver nascosto a Banca d’Italia l’esistenza di finanziamenti a terzi e lettere di impegno per l’acquisto e il riacquisto di azioni Bpvi e all’aver comunicato in più occasioni un patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, oltre all’aver taciuto una serie di comunicazioni sul capitale finanziato. Infine, il falso in prospetto è legato ai documenti per gli aumenti di capitale del 2013 e del 2014 in cui, occultando il fenomeno del capitale finanziato, non si dava conto della reale situazione patrimoniale della banca né della reale liquidità del titolo”.

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