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Tasse alte, dad, poche agevolazioni: così l’università italiana è finita fra le peggiori d’Europa

Pubblicato il 29/03/2021 09:48

Dalla Dad alle tasse, passando per l’incapacità cronica di valorizzare i nostri talenti. Il bilancio dell’università italiana tracciato da Milena Gabanelli attraverso le pagine del Corriere della Sera è una bocciatura forte, netta, nel nostro sistema. Che pure, nonostante l’emergenza Covid, non ha visto il tanto temuto crollo delle immatricolazioni, con gli atenei che nell’autunno 2020 hanno registrato addirittura un aumento di oltre il 5% delle nuove iscrizioni ai corsi triennali, anche grazie al trasferimento online delle attività che ha abbattuto molti costi. Nonostante questo, le tasse pagate dai nostri studenti restano alte, troppo alt.

Eurydice, la rete di informazione sull’istruzione Ue, ha recentemente pubblicato il “National Student Fee and Support Systems in European Higher Education – 2020/21”, un report nel quale vengono confrontate tasse e aiuti messi a disposizione dagli Stati agli studenti in tutta Europa. L’Italia, dati alla mano, resta uno dei Paesi dell’Unione in cui si pagano le tasse più alte: in media 1.628 euro all’anno. Per la triennale si va dai 200 euro per i redditi più bassi ai 2.721 euro per quelli più alti, per la magistrale si arriva fino a 2.906.

Nel Regno Unito, per esempio, le tasse sono fissate dagli atenei, sono pagate da tutti (non ci sono esenzioni per i redditi più bassi) e non possono superare le 9.250 mila sterline l’anno (circa 10.800 euro). In Spagna, l’importo varia a seconda del campo di studio che si sceglie, del livello, dei voti ottenuti agli esami e della Comunidad: si va da un minimo di 700 euro a un massimo di 2.680 euro. I redditi più bassi possono usufruire sia di esenzioni che di riduzioni delle tasse. In Francia, invece, le imposte universitarie sono molto basse: gli studenti del primo ciclo pagano 262 euro, quelli del secondo 335 euro. In Germania, non ci sono tasse di iscrizione né nel primo né nel secondo ciclo in nessun Land.

L’Italia non brilla anche sul fronte borse di studio, tra i Paesi che ne hanno erogate meno negli ultimi anni. Ne percepisce una soltanto il 14% degli studenti, assegnate tenendo conto principalmente della condizione economica e solo successivamente dei meriti accademici. A stabilire gli importi minimi delle borse, ogni anno, è un decreto del Miur: quello relativo al 2020/21 è di 1.981 euro per gli studenti in sede, 2.898 euro per i pendolari e 5.257 per i fuorisede. Negli ultimi 3 anni sono stati mediamente 7 mila gli studenti esclusi pur avendone diritto. Il motivo: finiti i fondi. Nella maggior parte dell’Unione, inoltre, gli Stati garantiscono il supporto necessario per pagare gli studi grazie a dei prestiti da restituire a tasso fisso sulla busta pagata guadagnata dopo la laurea. In Italia, soltanto l’1% degli iscritti può usufruire di “prestiti d’onore”, anche perché queste forme di finanziamento sono erogate da banche o finanziarie e la garanzia del Fondo pubblico per il credito ai giovani è del 70%. Un sistema che non funziona come dovrebbe. Con il risultato di pochi laureati e troppi abbandoni.

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