Fortissima è stata la delusione quando Giuseppe Conte ha annunciato domenica sera che le attività del settore beauty rimaranno ancora chiuse. La data di riapertura per parrucchieri, barbieri e centri estetici slitta al primo di giugno. Il proprietario di un noto salone a Roma racconta: “Noi come tutti i colleghi, dopo oltre un mese di chiusura ci aspettavano di aprire almeno l’11 o il 18.”
Rimanere chiusi per mesi si sta rivelando disastroso dal punto di vista economico per chi ha questo tipo di attività. Partono così i gesti di protesta per contestare la decisione del governo di rimandare ancora una volta. A padova i titolari di un centro estetico si incatenano davanti all’ingresso.
Agostino Da Villi, titolare di “La dolce vita” in Corso Milano, spiega: “Noi parrucchieri siamo abituati a lavorare secondo le norme di igiene e abbiamo tutto il materiale per riprendere: visiere, camici, guanti, gel igienizzante. Conte vuole farmi credere che un locale di cento metri quadri con due lavoratori e due clienti è meno sicuro di un autobus con 20 persone?” Perchè non viene data la possibilità di ripartire alle attività pronte per la ripartenza?
Tutte le decisioni prese dal governo sono vuote e prive di fondamento, mancano di praticità. A partire dal ridicolo aiuto stanziato: “Abbiamo 20mila euro di costi mensili che ad oggi continuiamo a pagare, non possiamo restare ancora chiusi” e a concludere con lo spostamento della riapertura per queste attività.
A Roma anche il proprietario di un salone a due passi da Montecitorio, Roberto D’Antonio, racconta la dura condizione in cui riversa la sua attività: “È stato un duro colpo anche per i 10 ragazzi che lavorano con me che finora non hanno avuto una lira di cassa integrazione. Li ho pagati io, chiedendo un prestito in banca”. Se le cose continueranno a seguire questo corso “tanti non riusciranno a riaprire”. Roberto è pronto pur di far bilanciare le spese a lavorare 14 ore al giorno, non si arrende, ma è consapevole, gli aiuti non bastano e lo slittamento della riapertura gravano fortemente: “Se non ci aiutano vorrà dire che mi metterò a lavorare per strada.”