Nessuno è in grado di dire quanti anni abbia davvero il baby-criminale. E così alla fine il giudice opta per la scarcerazione. L’ennesima storia che fa gridare rabbia, quella di Bilal, nome che in realtà potrebbe essere anche totalmente inventato. Visto che non si possono ricostruire con certezza le generalità del ragazzo, 14 anni ma già una lunga lista di reati alle spalle, alla fine il Tribunale dei minori di Milano ha così deciso di lasciarlo andare in quanto non imputabile. La conferma di un problema, quello dell’immigrazione minorile, che mette costantemente in difficoltà la giustizia italiana. E che continua a non essere gestito correttamente anche per delle precise volontà politiche. Perché di casi come quello di Bilal, che racconta di essere sbarcato in Italia dal Marocco, in realtà ce ne sono tantissimi. (Continua a leggere dopo la foto)
Come spiegato da Repubblica e Dagospia, infatti, “er la legge chi ha meno di 14 anni non è imputabile. Per alcune settimane Bilal, dichiarando di avere 12 o 13 anni, veniva fermato per aver commesso furti o rapine, veniva accompagnato in Comunità, fuggiva dalla comunità, commetteva di nuovo furti o rapine, veniva nuovamente fermato e così via per numerose volte”. (Continua a leggere dopo la foto)
Un copione che si è ripetuto sempre uguale fino a quando il Tribunale dei minorenni non ha deciso di sottoporlo ad una visita da parte di un medico legale per poter accertare la sua vera età. “Il 20 ottobre i consulenti del giudice avevano concluso sostenendo che fosse molto alta la probabilità che Bilal avesse 14 anni, e quindi era stato arrestato. Secondo l’ultima perizia anatomopatologa richiesta a una struttura pubblica dopo l’arresto (avvenuto per l’ennesima rapina della collanina in Porta Venezia a due ragazzi), non si può stabilire con certezza che abbia 14 anni”. (Continua a leggere dopo la foto)
Non potendo stabilire certezze, la normativa presume così la minore età e la non imputabilità. “Bilal è stato scarcerato dal Cpa di Torino dove era detenuto da due settimane ed è stato collocato in una comunità, con l’aggravante di una misura di sicurezza ‘vista la sua pericolosità sociale’. Una misura penale che è più forma che sostanza”.
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