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«L’Italia pensa alle bici e non al lavoro». Il noto imprenditore accusa la politica italiana

Pubblicato il 09/05/2022 18:07

In Italia, spesso e volentieri, le situazioni hanno del paradossale. Quella che si trova a vivere negli ultimi tempi l’imprenditoria nazionale non si esime dal rispettare questa controversa regola. Ecco allora che Jody Brugola, imprenditore brianzolo classe 1979, terza generazione della famiglia Brugola alla guida dell’azienda Officine Egidio Brugola (OEB), intervistato da La Verità, svela ai microfoni della giornalista tutta la sua amarezza, facendosi portavoce di quel disagio che colpisce molti piccoli e grandi imprenditori italiani.
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La storia della Brugola

Il nonno di Jody, Egidio (nome anagrafico anche del nipote), ha fatto fortuna con quel brevetto che porta il suo stesso nome: «Era il 1945: c’è chi dice che la brugola sia nata qui, altri che fosse americana o tedesca. Lui raggiunse la produzione di massa, convinse a usarla tutti gli imprenditori del Nord perché la forma garantiva elasticità e flessibilità, riduceva gli ingombri», racconta Brugola. La terza generazione rappresentata dall’imprenditore, però, non ha avuto quella che si può definire una “strada più spianata”: «Mica tanto. Quando ho preso la gestione non era un periodo semplicissimo, ma sono riuscito a fare scelte drastiche e qualche rivoluzione. Nel 2015 abbiamo aperto uno stabilimento a Detroit e altri tre in Italia. E le nostre “viti critiche” per motori sono montate non solo da Volkswagen, Ford e Renault, ma ora anche da Bmw, Mercedes, Hyundai e Kia. Abbiamo raggiunto anche altri clienti, con i nostri nuovi componenti speciali non solo per i motori».
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Prima la pandemia, ora la guerra

Gli ultimi due anni con la pandemia per l’azienda di Brugola sono stati «Anni abbastanza orribili, sì, ma anche in quelli siamo decresciuti meno di altri. È la qualità il nostro segreto». Sul momento attuale, con la guerra in corso, l’imprenditore spiega che: «Non siamo esposti con la Russia, ma il conflitto pesa sui conti. Ed è l’ennesimo ostacolo. Abbiamo calcolato che tra gas – a marzo era 10 volte in più dello scorso anno – e l’acciaio impazzito sui prezzi anche perché c’è stata tanta speculazione, dovremo recuperare 16 milioni di euro sui costi. Si rende conto di cosa vuol dire ripartire con un “meno” di 16 milioni? Stiamo lavorando perché ci venga riconosciuto». Brugola spiega come il problema sia generalizzato e riguardi anche le materie prime: «Scarseggiano i semiconduttori elettronici. Mancano i neon. I cablaggi si fa fatica a recuperarli perché venivano dall’Ucraina. Ma la cosa più preoccupante è che non sai quanto durerà e come finirà: l’ennesima incognita che aggiunge incertezza. Se uno si deve
comprare l’auto si fa mille domande, magari si tiene i soldi perché non sa cosa succederà».
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Il duro attacco dell’imprenditore alle Istituzioni

Ecco allora il duro attacco alle Istituzioni. Per l’imprenditore, infatti, il freno sulla ripartenza sarebbe «Schiacciato dalla politica economica e dalla geopolitica incerta, piena di cambiamenti. Non è tutto
alla luce del sole. Non mi fraintenda, non è un discorso da complottisti. Ma sia nella pandemia che ora con la guerra si sono venute a creare due fazioni, l’una in contrapposizione dell’altra. Si capisce poco di cosa accada realmente. Come si esce dal disagio? Non si sa. Manca una visione d’insieme, la
volontà di trovare soluzioni condivise per il benessere di tutti. A pagare sono sempre i più deboli».
Questo, ovviamente, ha avuto una pensate ricaduta sull’imprenditoria: «Gli imprenditori ci smenano, certo. I miei genitori mi hanno insegnato che se investi in un progetto vincente è giusto credere nell’ambizione, ma oggi c’è sempre un fattore esterno che rallenta. Parlo dell’economia reale, non delle cazzate finanziarie: noi investiamo sul prodotto e sul lavoro dei nostri dipendenti. Facciamo in modo di essere competitivi puntando sulla qualità. La crescita che vorremmo, però, è impossibile, finché ci sarà la paura inculcata nella testa di molti».
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La doppia faccia della transizione ecologica

Sul discorso del “green” l’industriale è abbastanza critico, analizzando le contraddizioni della gestione della transizione ecologica: «La sostenibilità e il rispetto dell’ambiente sono fondamentali, per me. Dopodiché, il mondo dei sogni è bello e pulito, ma se guardi alla realtà un terzo del parco macchine italiane è a Euro 0 e in ogni caso le auto inquinano solo per il 9%. Ci sono altre produzioni che inquinano molto di più. Ma non a tutti fa comodo che venga detto, è evidente». Per Brugola, anche la comunicazione rispetto a certe tematiche dovrebbe essere gestita meglio: «Le faccio un esempio che riguarda il mio settore. Troppe persone parlano di auto elettriche senza conoscenze specifiche: c’è
chi dice che dal 2030 non ce ne saranno più a combustione interna. Le incertezze, però, sono davvero tante. E occorrerebbe stare attenti a sbilanciarsi, perché il percorso per la transizione è lungo, e nell’immediato così si danneggia chi lavora nella filiera dell’automotive. Gli annunci semplicistici stanno castrando e mettendo a rischio i dipendenti e le aziende che andrebbero invece sostenuti».
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Tasse e sistema economico

Troppe tasse ed un sistema economico fallimentare sono alcuni dei grandi problemi di oggi: «Se le cose funzionano a me va bene pagare anche il 45% di tasse. Ma il punto è un altro. Oggi con la
globalizzazione che torna indietro c’è l’opportunità di cambiare, di far tornare qui le produzioni. Toccherà presto rivoluzionare anche le scuole, capire che il mondo è cambiato. Se non parli inglese, sei fregato. Soprattutto, gli istituti tecnici vanno riprogettati. La meccanica è cambiata, e anche in
molti settori noi imprenditori cerchiamo manodopera specializzata senza trovarla». Anche il mercato del lavoro, dunque, è un tema caldo nell’analisi dell’imprenditore della terza generazione dei Brugola: «Ci sono cose che un robot mai saprà fare. Oggi un saldatore con il patentino guadagna 70.000 euro all’anno, lo sa? E pure un manutentore meccanico. Sono introvabili. Altro che giurisprudenza e scienze politiche: a Milano abbiamo più avvocati che in tutta la Francia».
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La gestione della politica

E sulla gestione dell’attuale Premier, Mario Draghi, l’imprenditore la pensa così: «È ormai quasi alla fine della sua esperienza politica, l’anno prossimo si andrà al voto. Su di lui c’era grande attesa, ma la politica è fatta di logiche incancrenite da 40 anni. Le riforme che attendiamo non sono mai state fatte. Ora vedremo come verranno spesi i soldi del Pnrr, ma spero soprattutto che chi verrà dopo Draghi capisca che occorre un respiro lungo. Anzi, sa cosa occorrerebbe fare? Si dovrebbero mettere tutti a un tavolo e riscrivere le regole, fare le cose urgenti. E solo poi andiamo a elezioni. Quando sei disperato le cose le fai, dopo tendi a rimandare. Se vincesse il centrodestra di un soffio, con il proporzionale che faranno? Un’altra maggioranza ampia? Occorre tenere conto sempre che con lo spread siamo sotto il controllo dei mercati finanziari: c’è comunque poco margine di manovra».
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Necessario riformare molti settori

Brugola ha le idee chiare anche su quali siano le riforme da dover fare al più presto: «Non abbiamo materie prime, né petrolio o nuove tecnologie: le piccole e medie imprese sono una delle carte più importanti che possiamo giocarci. Con il turismo, ovviamente. Possiamo tornare a essere competitivi».
L’industriale conclude, infine, con una disamina del sull’attuale sistema basato sul liberismo: «Sono un liberale, ma un liberale vero. Il vero liberale vuole il massimo della libertà per la persona affinché si esprima e lavori in uno Stato che garantisce il rispetto delle regole, all’interno delle quali ci si deve poter muovere liberamente. In cambio mi aspetto sicurezza, sanità e pubblica amministrazione efficienti». Cosa che, purtroppo, non accade in Italia per via della «Troppa burocrazia. Se in Italia devi aprire un’impresa paghi il doppio rispetto ad altri Paesi, e ti tocca stare ad aspettare che la pubblica amministrazione ti dia riscontro. Delle imprese medie e piccole ormai gliene frega a pochi. Nei Comuni si pensa alle piste ciclabili: che, per l’amor di Dio, sono pure importanti. Forse però chi crea lavoro meriterebbe più attenzione».

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