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L’Europa, un grande niente al servizio delle élite

Pubblicato il 11/02/2023 10:28 - Aggiornato il 11/02/2023 18:00

Di Gianluigi Paragone – Giorgia Meloni fa bene a mostrarsi con il volto della diplomazia, a nascondere la rabbia ed a invitare a non dividere l’Europa in serie A e in serie B. Ma è fatica persa, persino inutile. L’Europa è divisa in categorie non da oggi ma dalla logica di Maastricht, altrimenti sarebbe nata prima come soggetto politico e poi economico-monetario; però le cose sono andate diversamente e l’Europa non ha altre ragioni se non quelle finanziarie. C’è l’euro, non c’è l’Unione; l’Unione è un club, la moneta un dogma, tant’è che dal club si può uscire, dal dogma l’unica via d’uscita è una rottura da giocarsi sul campo, con dolore e ferite. Non è un caso che le ragioni secessioniste si infrangono sugli scogli della paura: fuori dall’euro ci capiterebbe ogni sciagura. Sarebbe facile ribattere: dentro invece le cose per la nostra economia stanno andando bene? Il potere d’acquisto delle nostre famiglie è migliorato o da quando siamo dentro la moneta unica viviamo in una strana illusione di un benessere drogato? I famosi servizi dello Stato – sanità, scuola, previdenza, trasporti pubblici – hanno retto quegli standard per cui eravamo famosi nel mondo per l’efficienza? Oppure hanno subito tagli progressivi, in nome di patti, trattati e interminabili compiti a casa da fare?

La risposta che do io è nota. Sarebbe ora che, al di là della retorica, ci facessimo quattro conti senza avere l’uomo nero alle calcagna che ti ammonisce un farneticante “fuori dall’Europa siamo morti”. L’Europa non esiste e non conta nulla. Ma proprio nulla. Contano, per quel poco che ancora possono contare, Francia e Germania le quali nazioni – soprattutto la seconda – hanno bypassato e bypassano le asticelle previste dai trattati (ricordiamo, in tempi pre-crisi, i surplus tedeschi della bilancia commerciale decisamente ben oltre il consentito) e recentemente le decisioni unilaterali che hanno chiuso a loro vantaggio. Dalle politiche sulle distribuzioni dei migranti alle trattative sull’energia passando, hanno fatto da soli senza badare troppo a quel sentimento europeista che viene buono quando si tratta di costruire altre gabbie ai danni delle imprese e favorire logiche multinazionali e finanziarie, secondo un modello di crescita controllato. L’Europa non c’è, non ha alcun peso, a maggior ragione avendo scelto di abbandonare il suo baricentro naturale qual è il Mediterraneo.

Gli incontri riservati tra Zelensky con Macron e Scholtz stanno dentro questa realtà, marginale: l’ucraino è andato da coloro che detengono la golden share dell’Unione europea (che è concetto diverso da Europa) e con loro ha pianificato le prossime e imminenti tappe. Il presidente ucraino pensa che se si porta dietro Francia e Germania, gli altri seguiranno per inerzia o perché sanno di non avere altri spazi. Egli agisce con la copertura della Casa Bianca. L’incontro con la Meloni – al netto dei comunicati stampa odoranti di cipria – è stato un incontro di rimbalzo, un impegno più di apparenza che di sostanza nel senso che ha ben chiaro che lo spazio di “ribellione” del governo italiano è pressoché nullo. 

L’Italia non è isolata in Europa più di quanto non lo fosse dall’inizio della storia Unionista: non dovevamo esserci, se non appunto nella seconda fascia. Prodi, Ciampi, Amato e compagni varia ci hanno sacrificato come Agamennone sacrificò la figlia Ifigenia. La vicinanza al club che conta dipendeva dalle relazioni giuste del premier di turno: più era parte del club e più si aprivano le porte; questo non significava per l’Italia avere un ruolo ma solo avere un giro di carte (di un mazzo truccato) più favorevole. Nulla di più. La Meloni non deve agitarsi perché tanto a quel tavolo lei non ci andrà mai, nessuno ha intenzione di aiutarla ad avere un giro di carte buono per un incasso immediato. Per questo deve decidere se vuole passare alla storia affrontando quel nodo gordiano col piglio di chi è pronto a reciderlo con la spada: fintanto che cerchiamo di sciogliere il nodo con trattative buone per quella diplomazia, non facciamo altro che restare impigliati nel gioco dei bari, per quanto i bari abbiano colletti bianchi e ricatti finanziarie come assi nella manica. Il governo e la maggioranza comincino a dire no alla ratifica del Mes, pretendano dalla Bce la conservazione del debito pubblico nella sua pancia senza scaricarlo sui conti degli Stati (ai quali in pandemia avevano detto di non preoccuparsi perché avevamo anche noi una banca centrale a copertura delle emergenze). Infine, apra un canale di trattativa vero con la Russia finalizzato a una mediazione quanto mai necessaria: lo faccia adesso visto che Erdogan – a seguito degli eventi drammatici capitati in Turchia, al cui popolo tendiamo la mano – non potrà più farlo. Il rimando a Enrico  Mattei è un rimando impegnativo: Mattei ebbe il coraggio di sfidare le élite, le sette sorelle, la Casa Bianca in un contesto di guerra fredda e di dopoguerra. Mattei aprì all’Unione Sovietica, all’Iran, sconquassò scenari globali con piglio che pagò a caro prezzo, ma con quel cane a sei zampe sbranò il nodo gordiano e garantì all’Italia benessere energetico.

Basta frasi di circostanza sull’Europa e basta persino con questa gara a chi è più amico di Zelensky. Tanto agli italiani non interessa questa retorica un tanto al chilo, gli italiani vogliono tornare a stare bene in una Italia forte e ambiziosa. Ciò che non vogliono Francia e Germania.

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