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L’anno del Covid? No, di Amazon: affari record in un mare di polemiche

Pubblicato il 07/12/2020 10:05

Inevitabilmente il 2020 sarà ricordato da tutti per l’emergenza sanitaria che si è abbattuta sul pianeta, cambiando drasticamente i nostri stili di vita. Ma se qualcuno lo battezzasse piuttosto come “l’anno di Amazon” non commetterebbe certo alcun errore. Il colosso americano ha visto i suoi ricavi crescere in maniera mostruosa, inarrestabile. Un boom accompagnato da polemiche feroci, con 40 Ong sparsi per 15 Paesi diversi ad accusarla, nell’ordine, di distorcere il principio di libera concorrenza, di evadere le tasse (si sono mosse anche le autorità fiscali di ogni Stato in cui opera) e di mettere a serio rischio la sopravvivenza dei commercianti tradizionali, che di questo passo potrebbero presto ritrovarsi estinti come i dinosauri.

L'anno del Covid? No, di Amazon: affari record in un mare di polemiche

Da par suo, Amazon si limita a scrollare le spalle, riproporre le solite giustificazioni e tirare dritto, il pensiero fisso al guadagno. Oggi l’azienda vale in Borsa praticamente come il Pil italiano, ha assunto 427 mila persone nei primi nove mesi del 2020 e ha diversificato i propri affari includendo anche cinema, cloud e consegna a domicilio di cibo, manifestando interesse nell’acquisto dei diritti delle partite di calcio di Champions League e Serie A. Un modello da imitare, non fosse per le tante zone d’ombra che lo accompagnano. A partire dal trattamento dei dipendenti: sul fronte salari, Amazon si è affrettata ad aumentare la paga minima, ma restano le tante accuse per le condizioni di lavoro inumane, in violazione anche delle norme sulla sicurezza.

L'anno del Covid? No, di Amazon: affari record in un mare di polemiche

Amazon è in guerra con i sindacati, da tempo. Al punto che qualche mese fa si è trovata costretta, con sommo imbarazzato, a chiedere scusa per aver pubblicato annunci di lavoro in cui cercava “analisti per individuare rischi aziendali come le minacce di organizzazioni di lavoratori nei confronti dell’azienda”. Secondo Amnesty International, la società “ostacola i diritti dei lavoratori e investe ingenti risorse nel loro controllo”. Poi c’è la questione tasse. Affari & Finanze ha riassunto così lo schema caro al colosso: “Si registrano ricavi e profitti nei Paesi dove si pagano meno imposte e agli altri si lasciano le briciole”. L’Italia è un caso emblematico: Jeff Bezos, l’ad di Amazon, ha parlato di 4,5 milioni di tasse pagate nel Bel Paese. Fosse in vigore una web tax sulla falsariga di quella francese (il 3% dei ricavi), la cifra schizzerebbe immediatamente a 135 milioni.

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E d’altronde lo stesso Bezos ha patteggiato già con il Fisco di alcuni Paesi un versamento per evitare ulteriori inchieste e contestazioni sui mancati versamenti. A pagare un prezzo altissimo sono piuttosto i settori schiacciati dalla competizione con Amazon: dalle librerie ai negozi di quartiere, quasi tutti sono stati costretti a chiusure prolungate durante la crisi. Il colosso americano no, ha continuato a fare affari rubando terreno ai concorrenti: Confesercenti parla di 83 milioni di vendite al giorno diventate di colpo virtuali. Una batosta insostenibile per molti imprenditori, costretti a fare i conti con il rischio del fallimento.

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