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La lunga mano di “Mr Astrazeneca”: da Pd a M5S, tutti i suoi “contatti” con la politica italiana

Pubblicato il 07/11/2021 12:30 - Aggiornato il 07/12/2022 18:36

Tra gli indagati nell’inchiesta sulla fondazione Open compare anche Pietro Di Lorenzo, patron della Irbm di Pomezia, diventato celebre durante la pandemia come “Mr Astrazeneca”. Oltre che della Irbm, Di Lorenzo è anche a capo della Cnsccs, società consortile partecipata anche dal Cnr e dall’Istituto superiore della sanità, e presentato dalla stampa come colui che ha contribuito allo sviluppo del vaccino anglo-svedese.

Le sue aziende, tuttavia, sono (secondo una lunga informativa della GdF analizzata da Domani) anche tra i principali finanziatori di Open. Tra il 2014 e il 2017 avrebbero versato nelle casse di Matteo Renzi, Luca Lotti e Maria Elena Boschi – attualmente indagati per finanziamento illecito – ben 180 mila euro totali. Soldi che, secondo la GdF, sarebbero stati “finalizzati a consolidare e rafforzare i rapporti con esponenti politici del Partito democratico, collegati alla fondazione Open, potenzialmente funzionali agli interessi imprenditoriali di Irbm e Promidis Srl”.

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Nella loro inchiesta, le Fiamme Gialle elencano incontri ed sms tra Di Lorenzo ed esponenti del Pd. Come Alberto Bianchi, presidente di Open, Lotti, Marco Carrai e l’ex vicepresidente della Regione Lazio Massimiliano Smeriglio. Deputati del Pd come Andrea Marcucci e Renzi stesso. Contatti che iniziano nel 2014, quando il futuro di “Mr Astrazeneca” gira a Open i primi bonifici. Di Lorenzo, ricordiamo, è anche presidente della fondazione Versiliana: gli investigatore segnalano che a fine 2015, nella corrispondenza, risulta anche un “contratto” in discussione tra lui e bianchi. Quando la mole dei bonifici ad Open si intensifica, Di Lorenzo comincia a chiedere indietro alcuni favori per le sue aziende.

Pressa Bianchi per incontrare il presidente della Rai “in relazione a un canale scientifico europeo” – mai fatto – e vuole un appuntamento con la Boschi. Renzi, nel 2016, visita anche il suo stabilimento a Pomezia. Doveva presenziare anche Smeriglio, e “Mr Astrazeneca” non manca di sollecitarlo, anche relativamente a fondi della Regione Lazio alla Irbm per ben 4 milioni di euro. “Lo stiamo facendo” assicura Smeriglio. “Renzi viene in Irbm? Sono contento amico mio, te lo meriti … l’importante è che ci sia Zinga, tu ricorda a tutti che c’è un vicepresidente eccezionale, ahahah”. Due settimane dopo, Smeriglio (non indagato) annuncia trionfalmente a Di Lorenzo “novità positive”: i quattro milioni sono sbloccati.

Tutto sembra procedere per il meglio, il sogno della tv per Di Lorenzo è vicino (a giugno 2018 Cnr e la società controllata da Irbm sottoscrivono una convenzione). Poi arriva Anac a guastare tutto. Nicola Morra, a marzo 2019, firma un’interrogazione parlamentare con altri deputati M5S sul punto. Questo non piace a Di Lorenzo che scrive a Beppe Grillo: “Incredibilmente è arrivato un attacco assurdo da Morra … pazzesco … noi lo facciamo solo per il prestigio che conferisce alla ricerca scientifica italiana. C’è modo di spiegare a Morra che gli hanno fatto fare una cosa senza senso?”. “Ho sentito Morra, il problema è del Cnr non nel tuo progetto, mi manderà una relazione” replica Grillo. “Mr Astrazenca” aveva scritto anche a Di Maio. Ma nonostante ciò, le cose non vanno in porto: il Cnr aveva già girato 5 milioni a Di Lorenzo per il suo progetto televisivo, ma ha recentemente stracciato il contratto chiedendone la restituzione. “Non abbiamo speso niente, avevamo capito che erano in corso verifiche”, dice a Domani “Mr Astrazeneca“.