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Incinta di 3 mesi, il medico rifiuta di vaccinarla: “Serve l’ok del ginecologo”

Pubblicato il 16/09/2021 09:10

Aveva prenotato la vaccinazione nei giorni precedenti, ma quando si è recata al centro di Venezia dove avrebbe dovuto ricevere la dose, si è sentita rispondere “no”. Il medico, infatti, non ha voluto correre rischi, e visto che la donna era al terzo mese di gravidanza ha chiesto un’attestazione di buona salute da parte del ginecologo. Senza quella, nessuna inoculazione. Un caso che sta facendo discutere, quello raccontato dal Corriere della Sera, e che conferma come anche nel mondo della medicina ci siano ancora tanti dubbi riguardo i farmaci anti-Covid e la loro sicurezza.

Incinta di 3 mesi, il medico rifiuta di vaccinarla: "Serve l'ok del ginecologo"

Il medico veneziano protagonista dell’episodio ha spiegato alle pagine del Corriere il motivo della sua scelta: “Non esiste un documento scritto, è una decisione che abbiamo maturato noi vaccinatori. Non c’è ancora una letteratura scientifica consistente sugli effetti che l’anti-Covid potrebbe sortire nelle gestanti e nel feto, quindi prima di somministrarlo dobbiamo stare molto attenti e conoscere bene lo stato di salute della paziente. In caso di eventi avversi, la responsabilità è nostra”.

Successivamente la donna, una volta ottenuta la documentazione richiesta, è stata vaccinata. Un caso che ha visto alcuni medici scagliarsi contro il protagonista della vicenda, sostenendo che proprio le pazienti in stato di gravidanza siano tra i soggetti che più necessitano la somministrazione e che quindi bisognerebbe accelerare le tempistiche invece di rallentarle. E che però ha trovato anche gli applausi di alcuni camici bianchi, concordi con le scelte del vaccinatore veneziano.

Sorpreso Francesco Noce, presidente regionale dell’Ordine dei Medici: “Trovo abbastanza strano che i colleghi vaccinatori abbiano concordato tra loro di non somministrare l’anti-Covid alle donne incinte senza un certificato del ginecologo. Non l’ho mai sentito da nessuna parte, anche perché è assurdo costringere la paziente ad andare dallo specialista e poi a tornare all’hub, facendole fare una spola tra strutture sanitarie che la espone al pericolo di contagio”.

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