Dietro lo stop improvviso alla trattativa tra il governo e Atlantia, che sembrava ormai in dirittura d’arrivo (almeno stando agli annunci festosi di Conte e Di Maio) salvo poi arrestarsi, ci sono in realtà spaccature evidenti all’interno della formazione giallorossa. In tanti, in particolar modo, puntano il dito contro la ministra dei Trasporti Paola De Micheli, rea di aver predisposto un regalo da diversi miliardi in favore della holding controllata dalla famiglia Benetton. Un pasticcio che rischia di avere un conto salato per il governo, sulla carta trincerato ancora dietro la possibilità di revocare le concessioni ma nei fatti costretto a rassegnarsi a un accordo tutt’altro che entusiasmante.
Lo scontro principale è quello che riguarda il Piano economico-finanziario (Pef), documento con cui ogni cinque anni vengono fissati gli obiettivi indicando anche previsioni di ricavi, del traffico e manutenzione straordinaria e ordinaria da mettere in conto. Il ministero dei Trasporti guidato dalla De Micheli ha concordato una bozza lo scorso settembre, all’interno della quale è prevista per il periodo 2020-2038 la distribuzione tra gli azionisti di 21 miliardi, oltre 1 miliardo l’anno di dividendi. Cifre decisamente da capogiro.
La storia, come raccontato da Giorgio Meletti su Domani, è però assai più ingarbugliata. Il 16 settembre è infatti scaduto il mandato del presidente dell’Autorità Regolazione Trasporti Andrea Camanzi, sostituito molto rapidamente da Nicola Zaccheo. Lo stesso giorno della nomina, la De Micheli aveva inviato all’Art una proposta di aggiornamento del Pef, mentre la figura di Zaccheo rimaneva, però, congelata. La scelta non veniva infatti inserita nell’ordine del giorno del Consiglio dei ministri e così il suo predecessore Camanzi rimaneva in carica giusto il tempo necessario a esprimere il proprio parare sul Piano concordato dalla ministra e Aspi. Il contenuto del testo è venuto alla luce soltanto in queste ore, ed è tutt’altro che irrilevante.
Il Pef concede infatti ad Aspi un aumento dei pedaggi dell’1,75% l’anno per i prossimi 18 anni e mette in conto 1,2 miliardi di “manutenzioni incrementali” a carico della tariffa, quindi degli automobilisti anziché della concessionaria. Un piano che sembra pensato appositamente per assicurare ancora dividendi da urlo agli azionisti, poco importa se nel frattempo i Benetton saranno sostituiti da Cassa Depositi e Prestiti. La notizia è stata seguita da una lettera del capo gabinetto del ministero dell’Economia Luigi Carbone e pone ora il governo a un bivio: rivedere l’accordo al ribasso, col rischio che salti tutto, o confermare un’intesa così generosa. Le scommesse sul finale della storia sono già aperte.
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