x

x

Vai al contenuto

Il Recovery Fund delle incertezze: ora l’insidia sono i parlamenti nazionali

Pubblicato il 22/07/2020 12:16

Accolto dai festeggiamenti sfrenati del governo e dalle perplessità di tanti economisti, il Recovery Fund è stato alla fine approvato, dopo un braccio di forza durato 4 giorni e che ha portato all’Italia un bottino in realtà piuttosto misero. E non pochi interrogativi su un futuro ancora non del tutto definito. Gli ostacoli all’orizzonte non sono ancora spariti e prenderanno la forma innanzitutto del Parlamento Europeo, dove la battaglia per un bilancio considerato troppo povero (1.074 miliardi) è già iniziata. Non bastasse, toccherà poi ai vari parlamenti nazionali ratificare l’accordo raggiunto in sede di Consiglio Europeo: passaggio tutt’altro che scontato, con il rischio di qualche spiacevole sorpresa dietro l’angolo.

Il Recovery Fund delle incertezze: ora l'insidia sono i parlamenti nazionali

Dovesse filare tutto liscio, restano poi altri due nodi: tempistiche e modalità di accesso. I famigerati bond “fino a 750 miliardi” che la Commissione potrà emettere, porteranno a una distribuzione di risorse che avrà inizio soltanto nei primi mesi del 2021. E parliamo della più ottimistica delle previsioni. Servirà poi seguire delle precise indicazioni: i Paesi dovranno impegnare la somma ricevuta entro la fine del 2023 e spenderla materialmente entro il 2026. Il tutto in base a dei piani che andranno presentati alla Commissione e che saranno giudicati in base alle raccomandazioni arrivate da Bruxelles. e degli obiettivi climatici, processo che durerà tre mesi e che vedrà un ruolo decisivo degli altri governi, che decideranno a maggioranza qualificata.

Il Recovery Fund delle incertezze: ora l'insidia sono i parlamenti nazionali

Nonostante la lettura data dal governo giallorosso, che parla di successo per aver “impedito l’istituzione del diritto di veto”, di fatto i Paesi dovranno fare i conti con il “freno di emergenza”, che permette a un qualsiasi Stato di portare uno specifico caso agli occhi del Consiglio europeo qualora sospetti che non vengano mantenuti gli obiettivi. In quel caso, i pagamenti delle rata saranno bloccati e arriverà una decisione entro tre mesi. Un meccanismo introdotto per volontà dei frugali, i veri vincitori della partita disputata a Bruxelles, e con il quale l’Italia dovrà fare a lungo i conti, trattandosi del Paese più colpito dall’epidemia di coronavirus.

Il Recovery Fund delle incertezze: ora l'insidia sono i parlamenti nazionali

In tutto questo, sarà necessario fare i conti con le nuove tasse che l’Europa introdurrà gradualmente nei prossimi mesi per far fronte al maxi-debito. Alle casse della Bce servirà prezioso ossigeno e allora sotto con la plastic tax, innanzitutto. Poi, a partire dal 2023, arriveranno carbon tax, web tax e un aumento della tassazione per i settori navali e marittimi. Il futuro, insomma, è pieno da un lato di insidie, dall’altro di nuove complicazioni da mettere già in conto. E francamente le esultanze di Conte sembrano sempre più fuori luogo.

Ti potrebbe interessare anche: Un grande ingorgo di pagamenti. Lavoratori autonomi: “Costretti a chiudere se le tasse non slittano”