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“Facebook condannato al risarcimento”. La storica sentenza contro il social, sconfitto da un avvocato romano

Pubblicato il 20/03/2023 09:13 - Aggiornato il 22/05/2023 13:35

Un avvocato di 53 anni, romano d’origine, è riuscito in un’impresa storica: costringere Facebook ad alzare bandiera bianca in tribunale. E ad aprire il portafogli per un risarcimento del valore simbolico di 15 mila euro. Il re dei social network è stato infatti ritenuto responsabile di non aver rimosso in maniera tempestiva un post considerato “diffamatorio” nei confronti della società Snaitche Spa e di due suoi dirigenti, che avevano segnalato più volte il messaggio chiedendone la cancellazione. Invano. E così l’avvocato Alessandro Benedetti, insieme al team legale dell’azienda con Claudio Urcioli e Francesca Romana Veloccia, ha chiesto e ottenuto giustizia. Come raccontato dal Fatto Quotidiano, si tratta della prima volta che un social viene condannato in sede civile nel nostro Paese per dei contenuti virtuali. (Continua a leggere dopo la foto)
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I fatti risalgono al 2019, quando un utente aveva creato su Facebook due pagine dal nome piuttosto eloquente: “Snaitech Truffa” e “Truffa Snaitech“. Entrambe erano state segnalate dai vertici dell’azienda, ma il social non aveva mai provveduto all’eliminazione di quei contenuti considerati diffamatori dai diretti interessati. E per questo è stato ora condannato al pagamento di una cifra simbolica ma comunque significativa. (Continua a leggere dopo la foto)

Se è vero, infatti, che i 15mila euro che Facebook dovrà versare come risarcimento sembrano pochi rispetto alla richiesta iniziale (200mila), è altrettanto importante sottolineare come finora mai era accaduto che i gestori della piattaforma fossero ritenuti responsabili di una diffamazione. A essere condannati erano stati, infatti, fin qui soltanto dei singoli utenti. (Continua a leggere dopo la foto)

Secondo il giudice del Tribunale civile di Milano, “l’autore del contenuto pubblicato sulla piattaforma Facebook ha attribuito agli attori la commissione di delitti sulla base di mere convinzioni personali. Nei post, l’utente scriveva che Snaitech e le due dirigenti avevano inteso ‘farci delinquere con loro rendendoci complici’ ed erano senza scrupoli”. Di fronte alla richiesta di rimozione del conteuto, il social aveva risposto che “non è chiaro come il contenuto segnalato sia diffamatorio, violi i suoi diritti o sia altrimenti illecito”. Secondo la sentenza, Facebook “non è soggetto a un obbligo diffuso di sorveglianza sulle informazioni che trasmette o memorizza, ma esiste una responsabilità civile di natura omissiva qualora l’hosting provider ometta di rimuovere i contenuti di cui conosce la manifesta illiceità”.

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